Condividiamo, di cuore.

Al netto delle posizioni politiche e delle simpatie o antipatie per la persona, ammetto che quando Renzi durante il suo discorso di ieri in Senato ha accusato il Truce Salvini di aver trasformato l’Italia nell’Alabama degli anni Cinquanta e ha citato le Sette Opere di Misericordia, ho applaudito.

https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/renzi-salvini-clima-odio-siamo-alabama-anni-50/ACJjsQf

La Procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta per sequestro di persona, violenza privata e abuso in atti di ufficio. Diversi Paesi europei hanno dato la disponibilità ad accoglire i migranti a bordo.
Ma il Truce non li fa scendere comunque (il motivo è molto semplice: senza i migranti non saprebbe cosa altro fare e tutta la sua nullità politica verrebbe messa a nudo) ed ha fatto marcia indietro sulla crisi di Governo perché si è reso conto che senza immunità parlamentare la sua fine, prima o poi, sarà la galera.

Simone Salvi

https://video.corriere.it/cronaca/open-arms-riccardo-gatti-a-bordo-situazione-insostenibile/879ccbd2-c0dc-11e9-a944-b7ca57037a99?fbclid=IwAR1wC0m0AEmyEmMuCrW5a53yjBlAjpz1IkTHA2aSGWtGCIszXXiVqIJMIK8

“la notte che le cose ci nasconde”: una prova della paternità dantesca della lingua italiana


Il canto XXIII del Paradiso si svolge, insieme con quello precedente e i quattro successivi, nel cielo delle Stelle fisse. In apertura di canto si trova una delle similitudini più celebri della Commedia, nella quale Dante paragona Beatrice, che si trova con lo sguardo rivolto verso l’alto nella trepida attesa del Trionfo di Cristo, ad un uccellino che attende l’alba per poter uscire dal nido a procacciare il cibo per i suoi piccoli. Da notare l’ampiezza della similitudine, dato non insolito nella Commedia, che occupa ben tre terzine. Ma un altro aspetto particolarmente significativo è quello lessicale, che conferma la misura della paternità dantesca dell’italiano: ci si soffermi, per esempio, sul verso 3 “la notte che le cose ci nasconde”, costituito da verbo, sostantivi e parole grammaticali che appartengono tutte al lessico base dell’italiano moderno. Utile ricordare che fu per primo Tullio De Mauro, con il prezioso ausilio dello strumento informatico, a quantificare tale paternità linguistica dimostrando che agli inizi del Trecento, quando Dante inizia a comporre “il poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra“, il vocabolario fondamentale dell’italiano era formato per circa il 60%; a fine secolo, quando la Commedia era terminata e già largamente diffusa, il valore raggiunge il 90%. Per vocabolario fondamentale si intende quell’insieme di parole -nel caso dell’italiano sono circa duemila- che da sole ci consentono di produrre la gran parte dei testi orali o scritti. Si calcola che il 90- 92% dei testi che produciamo siano costituiti da queste parole fondamentali. De Mauro ha dunque dimostrato che quasi milleottocento parole del lessico fondamentale dell’italiano erano già presenti in Dante.

Come l’augello, intra l’amate fronde,
posato al nido de’ suoi dolci nati
la notte che le cose ci nasconde,
che, per veder li aspetti disïati
e per trovar lo cibo onde li pasca,
in che gravi labor li sono aggrati,
previene il tempo in su aperta frasca,
e con ardente affetto il sole aspetta,
fiso guardando pur che l’alba nasca;

Par. XXIII, 1-9

Simone Salvi

Firenze, Palazzo Gianfigliazzi

Nell’immagine l’epigrafe sulla facciata di Palazzo Gianfigliazzi, in lungarno Corsini a Firenze, che ricorda il soggiorno di Alessandro Manzoni in città tra l’estate e l’autunno del 1827. Lo scrittore si recò nel capoluogo toscano pochi mesi dopo l’uscita della prima edizione dei Promessi Sposi, nota come “Ventisettana”, mosso dall’intento di una revisione linguistica del romanzo, che poi effettivamente avvenne e che è testimoniata dalla celebre espressione con cui in una lettera alla madre Giulia Beccaria ebbe a definire la città toscana come quella “nelle cui acque risciacquai i miei panni”. Non riportiamo qua le vicende compositive dei Promessi Sposi successive al soggiorno fiorentino ma ci limitiamo a notare che  suona un po’come beffa il passo dell’epigrafe “volle scrivere egli”, se teniamo conto che tra le novità linguistiche apportate dal Manzoni all’italiano si segnala l’abbandono degli allora diffusi “egli/ella” a favore di “lui/lei”: una delle novità operate dal grande scrittore nel solco di un rinnovamento della lingua italiana che segnò il passo decisivo verso l’italiano moderno.

Simone Salvi

Ai Senatori leghisti Vescovi e Pira e alla Consigliera Montemagni chiederei: invece il vostro capo politico può invocare la Madonna nelle sedi meno opportune? E proprio lui che il messaggio del Vangelo lo elude ogni giorno? Da parte nostra tutto l’appoggio e la massima solidarietà al Sindaco Tambellini e al Vescovo Giulietti

https://www.gonews.it/2019/08/06/vescovo-lucca-biancalani-decreto-sicurezza-lega/?fbclid=IwAR0ksXW2ANrMyMcchBVelXjXCWbC2lWn40quVcuCVPtUpVaSnv5Y2un02UI

In che cosa consiste il Decreto Sicurezza bis?

Tutto quello che c’è da sapere sul Decreto Sicurezza bis, nell’articolo dell’ottima Annalisa Camilli.

https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/07/24/decreto-sicurezza-bis?fbclid=IwAR06_USFtdgz0rqbwnuR4njPSDqMvBR6jtfL-nZbhoZ3D15PVOC0AtjXGg8

Dante 2021

Circa la proposta di trasferimento delle spoglie di Dante da Ravenna a Firenze, in occasione delle celebrazioni del settimo anniversario della morte del Poeta, leggiamo in questi giorni varie prese di posizione. Tra le motivazioni portate da coloro che sono contrari a tale operazione occorrono però, e con particolare frequenza, alcuni errori che risultano evidenti alla luce della conoscenza delle vicende biografiche del maggior poeta italiano e di quelle relative alla composizione di alcune sue opere. Segnatamente si riporta che Dante non avrebbe mai voluto tornare, neppure dopo la morte, nella sua Firenze, città che quando lui ancora in vita lo condannò a morte e lo costrinse al noto esilio. Nell’articolo di cui incollo il link qua sotto, l’ottimo Tomaso Montanari, in una voce che forse indugia fin troppo sulla polemica politica in un contesto in cui non è così stringente, riporta il celebre passo del Convivio nel quale il Poeta descrive la sua condizione di “peregrino” esule, che a causa della fuga da Firenze lo costringe alla “dolorosa povertade”, e che proprio per questo dato biografico faremmo l’ennesimo torto a Dante portando oggi i suoi resti nella propria città natale. Evidentamente però Montanari, e con lui molti altri, trascura un decisivo passo della Commedia, in apertura di Paradiso XXV, nel quale il padre della lingua italiana spera, una volta placate le faziosità che lo costrinsero all’esilio, di tornare a Firenze ed essere incoronato Poeta nel Battistero di San Giovanni, dove fanciullo fu battezzato. Certamente si assiste ad un cambio di pensiero, e soprattutto alla manifestazione di una speranza, rispetto a quanto affermato nel Convivio ed anche in contrasto alle invettive e alle parole di disprezzo che Dante, anche nella Commedia, rivolge a Fiorenza. Ma occorre notare che con buona probabilità almeno dieci anni separano la scrittura del Convivio, avviata probabilmente all’inizio dell’esilio (1303- 1306), e la conclusione del Paradiso, le cui coordinate compositive lo collocano tra il 1315 e il 1321. Ecco i versi, commoventi e colmi di speranza, da Paradiso XXV:

“Se mai continga che ‘l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
sì che m’ ha fatto per molti anni macro,
vinca la crudeltà che fuor mi serra
dal bello ovile ov’io dormì agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra;
con altra voce omai, con altro vello
ritornerò poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prenderò ‘l cappello;” (Par. XXV, I-IX)

Simone Salvi

https://emergenzacultura.org/2019/08/02/tomaso-montanari-sulla-pelle-di-dante-troppi-sciacalli-2/?fbclid=IwAR3a4e67L77qKB0t9guL2aBWvpVerOt3i_u_uKMrZ22LudmSA2-d6jmanU8