Lettera di Andrea Crisanti

Caro Direttore,

In una recente intervista a Focus life in risposta alla domanda se mi sarei vaccinato a gennaio ho affermato che non lo avrei fatto fino a che i dati di efficacia e sicurezza non fossero stati messi a disposizione sia della comunità scientifica sia delle autorità che ne regolano la distribuzione. Ho formulato un concetto di buon senso che non esprimeva alcun giudizio negativo sulla bontà del vaccino né tantomeno metteva in discussione la validità della vaccinazione come il mezzo più efficace per prevenire la diffusione delle malattie trasmissibili. La mia storia personale e scientifica ne è la testimonianza.

La mia dichiarazione, che credo abbia interpretato il sentimento dei tanti che hanno a cuore e danno valore al metodo scientifico, è stata ispirata dalla modalità con cui le aziende produttrici hanno comunicato i risultati raggiunti senza accompagnarli ad una adeguata informazione almeno per quanto riguarda la Fase III.

La trasparenza è la misura del rispetto che si nutre nei confronti degli altri e genera un bene prezioso, la fiducia. In questi giorni le aziende produttrici, invece di condividere i dati con la comunità scientifica, hanno privilegiato una comunicazione basata su proclami non sostanziati da evidenze.

Noi tutti riponiamo in questi vaccini delle grandi aspettative; se le aziende in questione sono in possesso di informazioni che giustificano annunci che possono apparire rivolti in particolare ai mercati finanziari, devono essere rese pubbliche anche in considerazione del fatto che la ricerca è stata largamente finanziata con quattrini dei contribuenti.

La notizia che dirigenti delle due aziende produttrici abbiano esercitato il loro diritto, ne sono certo legittimo, a vendere le azioni per sfruttare i vantaggi legati al rialzo di prezzo non ha contribuito a generare un sentimento di fiducia.

A poche ore dalla mia intervista si è scatenato un inferno mediatico senza precedenti, illustri colleghi in coro hanno fatto a gara per censurare le mie parole definite irresponsabili. Secondo alcuni avrei addirittura messo in pericolo la sicurezza nazionale!

 

I custodi della ortodossia scientifica non ammettono esitazioni o tentennamenti, reclamano un atto di fede a coloro che non hanno accesso a informazioni privilegiate «il vaccino funzionerà», tuonano indignati. Io sono il primo ad augurarmelo, mi permetto tuttavia di obiettare che il vaccino non è un oggetto sacro. Lasciamo la fede alla religione e il dubbio ed il confronto alla scienza che ne sono lo stimolo e la garanzia.

 

Tra gli indignati si annoverano alcuni che durante l’estate ci hanno raccontato che le evidenze cliniche portavano a pensare che la crisi sanitaria fosse superata e che il virus fosse meno contagioso, e purtroppo possono avere inconsapevolmente incoraggiato comportamenti che hanno dato un contributo importante alla trasmissione del virus in quei mesi. Altri sono autorevoli membri del comitato tecnico scientifico a cui l’Italia si è affidata fiduciosa per prevenire una possibile seconda ondata, tutelare le attività commerciali, favorire la ripresa produttiva e garantire le attività didattiche.

Lascio agli italiani e agli storici il giudizio sul loro operato. Sono ormai settimane che si registrano più di 35.000 casi di infezione e circa 700 morti al giorno.

 

A partire dal mese di luglio il virus ha ucciso circa 15.000 persone e ne ha infettate 1.140.000: vorrei scriverlo «ad alta voce» perché per questa strage silenziosa non si indigna nessuno. Chi racconterà la storia di questa epidemia in futuro non troverà eco delle mie parole di qualche giorno fa, ma rimarranno impietose le statistiche a denunciare questi numeri e a mettere a nudo gli errori commessi.

La mia dichiarazione sul vaccino pronunciata con schiettezza ha toccato un nervo scoperto. Senza strumenti per controllare l’epidemia a meno di affidarsi a severe misure restrittive e senza una linea di difesa contro una seconda e possibile terza ondata, le opzioni a disposizione sono drammaticamente ridotte.

 

A questo punto tutte le speranze sono riposte nel vaccino come la pioggia per un popolo assetato nel deserto. Questo non giustifica la demonizzazione di chi possa avere dubbi, di chi chiede spiegazioni e di chi chiede trasparenza. Continuare su questa strada è il modo migliore per alimentari sospetti e fornire argomenti a chi si oppone all’uso dei vaccini.

 

Andrea Crisanti, Professore Ordinario di Microbiologia e Direttore del Dipartimento di Medicina molecolare, Università di Padova.

Corriere della Sera, 23 novembre 2020

 

 

Ed eccola, puntuale e chiarissima, la risposta del prof. Crisanti, consegnata in un’intervista a Corr. Sera.

https://www.corriere.it/cronache/20_novembre_20/crisanti-vaccino-gennaio-non-sono-no-vax-ma-validita-non-puo-decidere-politica-7ae94772-2b2e-11eb-9939-58d0486c3785.shtml

 

 

Incipit di Paradiso XXIII

Un’apertura di canto tra le più memorabili di tutto il poema, affidata a una similitudine che si sviluppa per ben quattro terzine. Beatrice, con lo sguardo rivolto verso l’alto nella trepidante attesa della visione del trionfo di Cristo e delle schiere dei beati, è figurata attraverso la dolce immagine di un uccello, che al nido aspetta i primi lucori dell’alba per poter rivedere i suoi piccoli e uscire per procurare loro il cibo. Sono versi trasparenti che non necessitano di parafrasi. Vale però notare un aspetto linguistico che ancora una volta conferma il peso di Dante nella creazione dell’italiano moderno: almeno i primi nove versi sono in un italiano che sia sul piano sintattico sia su quello lessicale è assai vicino a quello attuale. Basti leggere il terzo verso, che, linguisticamente, moderno lo è pienamente, perché anche noi oggi diremmo: “la notte che le cose ci nasconde”. Tratti tipici dell’italiano antico sono riscontrabili, in particolare a livello lessicale, già nel primo verso nel provenzalismo augello e nel latino schietto intra. Proseguendo, al verso quattro nel sicilianismo disiati (con dieresi su –i per ragioni di metrica) – peraltro destinato attraverso la sua radice “disio” a una certa longevità letteraria-, ai versi cinque e sei, rispettivamente nel pasca (pascere), in luogo del moderno “nutrire”, e ancora nel latino labor. Ma leggiamo questi splendidi versi, magari ad alta voce, e senza indugiare nelle note.
“Come l’augello, intra l’amate fronde,
posato al nido de’ suoi dolci nati
la notte che le cose ci nasconde,
che, per veder li aspetti disïati
e per trovar lo cibo onde li pasca,
in che gravi labor li sono aggrati,
previene il tempo in su aperta frasca,
e con ardente affetto il sole aspetta,
fiso guardando pur che l’alba nasca;
così la donna mïa stava eretta
e attenta, rivolta inver’ la plaga
sotto la quale il sol mostra men fretta:”
Dante, Commedia, Paradiso XXIII 1-12
Simone Salvi