Trilussa, resuscita, te prego

L’elezzione der Presidente (1930)

Un giorno tutti quanti l’animali
Sottomessi ar lavoro
Decisero d’elegge’ un Presidente
Che je guardasse l’interessi loro.

C’era la Societa de li Majali,
La Societa der Toro,
Er Circolo der Basto e de la Soma,
La Lega indipendente

Fra li Somari residenti a Roma,
C’era la Fratellanza
De li Gatti soriani, de li Cani,
De li Cavalli senza vetturini,
La Lega fra le Vacche, Bovi e affini…
Tutti pijorno parte a l’adunanza.

Un Somarello, che pe’ l’ambizzione
De fasse elegge’ s’era messo addosso
La pelle d’un leone,
Disse: – Bestie elettore, io so’ commosso:
La civirtà, la libbertà, er progresso…
Ecco er vero programma che ciò io,
Ch’è l’istesso der popolo! Per cui
Voterete compatti er nome mio… –

Defatti venne eletto propio lui.
Er Somaro, contento, fece un rajo,
E allora solo er popolo bestione
S’accorse de lo sbajo
D’ave’ pijato un ciuccio p’un leone!

– Miffarolo!… Imbrojone!… Buvattaro!…
– Ho pijato possesso,
– Disse allora er Somaro – e nu’ la pianto
Nemmanco si morite d’accidente;
Silenzio! e rispettate er Presidente!

Beethoven e la musica popolare

Beethoven e le sue composizioni sono l’incarnazione del concetto di universalità della musica. Basti pensare al verso centrale e più bello dell’ An die Freude, il celebre Inno alla Gioia, musicato dal compositore su testo di Friedrich Schiller: “Alle menschen werden Brüder- Tutti gli uomini saranno fratelli”. Parole queste che dovrebbero risuonare come una speranza e che invece sono purtroppo sempre più disattese. Leggendo gli scritti del compositore, documenti preziosi per comprenderne il suo pensiero di uomo oltre a quello musicale, ci rendiamo conto di come e quanto la speranza di raggiungimento di fratellanza tra gli uomini sia un fatto centrale della sua vita e che avrà conseguenze sulla sua produzione musicale. A nutrire in parte questo ideale vi era una profonda religiosità, seppur probabilmente incostante e vissuta nel dubbio, da altissimo intellettuale illuminista quale era. Nel Testamento di Heiligenstadt, redatto nel 1802, si legge: “Dio Onnipotente, Tu dall’alto guardi nella mia anima intima, leggi nel mio cuore e sai che è colmo d’amore per l’umanità”. Nei Quaderni di Conversazione troviamo una frase che a noi autori di questo blog è particolarmente cara  per motivi che di seguito spiegheremo: “I miei modelli sono Socrate e Gesù.” Nel corpus degli scritti beethoveniani, in gran parte costituito da corrispondenze epistolari con amici, editori e mecenati, troviamo un uomo che ama il messaggio cristiano e che in questo ripone non solo un sostegno nell’affrontare le sofferenze personali, di cui non gli mancavano i motivi, ma anche un proprio modus operandi. Un uomo che cerca di agire in senso cristiano e che crede nel messaggio di Gesù. È importante osservare che citazioni dai Vangeli, lodi al Signore e la composizione di tre musiche sacre ( “Cristo sul Monte degli Ulivi, Messa in do maggiore, Missa Solemnis ) si accompagnano in questi scritti a frequenti citazioni di Kant, il padre fondatore del pensiero illuminista. Nella convulsa situazione politica dell’Europa di inizio Ottocento lo spirito francese sintetizzato nel motto Liberté, Egalité, Fraternité accompagnava certamente il pensiero beethoveniano. È un aneddoto forse abusivo quello riportato da alcuni cronisti dell’epoca, tra cui il musicista e biografo di Beethoven Ferdinand Ries,  secondo il quale il compositore pensò inizialmente ad una dedica a Napoleone Bonaparte, allora primo console, per la sua Sinfonia n.3,  la celebre “Eroica”, per poi decidere di cancellare con impeto il nome dell’imperatore dalla prima pagina della composizione a seguito dell’incoronazione di questo a sovrano. Sicuramente era un uomo che temeva e disprezza l’assolutismo e a tal proposito c’ è un aneddoto, questo un po’ più sicuro, che vale essere raccontato. Durante una passeggiata in un parco viennese Beethoven e il suo amico Goethe incontrarono l’imperatore. Goethe subito si prodigò in inchini e riverenze e accortosi che il suo amico non stava facendo altrettanto lo redarguì. Al rimprovero Beethoven rispose: cos’ha diverso da me perché debba essere io a salutarlo per primo? Insomma, Beethoven è un uomo colto che si interroga sul mondo. Mosso da aspirazioni di universalità del messaggio musicale, a partire dal 1803 ha arrangiato centosettanta canti popolari di diverse Nazioni europee, in particolare scozzesi e irlandesi. Iniziò ad attendere a questi lavori in seguito ad una lettera in cui l’editore scozzese George Thomson, già amico di Haydn, gli chiedeva di arrangiare alcuni brani popolari nazionali. Ancora una volta gli scambi epistolari tra editore e compositore ci aiutano a far luce sulla genesi di questo lavoro e sui ritmi lavorativi del musicista. In una lettera Thomson si lamenta con Beethoven perché a suo avviso lavora troppo lentamente ed è molto caro. L’apparato musicale di gran parte di queste composizioni è Voci e Trio, cioè una o più voci, violino, violoncello e pianoforte. Dal punto di vista squisitamente musicale è doveroso segnalare due aspetti di queste composizioni beethoveniane che avrebbero presto avuto influenze importanti sui successivi sviluppi della musica e non solo di quella cosiddetta colta. Il primo è che alcuni dei brani che Beethoven si trovò ad arrangiare e ad armonizzare presentavano aspetti che si avvicinavano all’atonale. L’altro aspetto, che fa di Ludwig van Beethoven uno dei massimi compositori della storia, si inserisce in quelle profezie beethoveniane in termini di generi musicali che si sarebbero poi avverate nel corso della storia della musica a partire da poco meno di cento anni dopo dalla morte del compositore. Profezie che si manifestano con gli schizzi già novecenteschi di alcune delle sue ultime composizioni pianistiche e per quartetto. Sarebbe qua troppo complicato descrivere con rigore musicologico alcune di queste straordinarie innovazioni e rimandiamo per questo a testi specifici. Ma basta un esempio, che è anche un consiglio di ascolto per i nostri lettori: lo sviluppo del secondo movimento della sua ultima sonata per pianoforte: la sonata n.32 op. 111, composta nel 1822 e pubblicata l’anno successivo con dedica all’Arciduca Rodolfo. Anche un orecchio musicalmente non avvezzo alla musica classica coglierà con facilità i toni swing e jazz di alcuni passaggi di questo vertice assoluto di tutta la musica ad oggi scritta. Nello sviluppare il tema, cioè ripresentandolo più volte con variazioni, Beethoven intraprende strade di libertà compositiva mai percorse ad allora, scavalcando il Romanticismo e affacciandosi sul Novecento. Venendo al tema del nostro articolo, anche nell’arrangiamento dei canti popolari Beethoven arrivò  in alcuni casi con cento anni di anticipo sulla storia della musica, come dimostra l’ascolto del brano che proponiamo. Il brano è intitolato “Highland Harry” e fa parte dei 25 Schottische Lieder, op. 108. Anche qua emerge facilmente all’ascolto il Beethoven innovativo e visionario (qualche critico parlò di vere e proprie visioni del compositore tentando di spiegare alcune sue ultime composizioni che all’epoca risultavano incomprensibili) sotto forma di gesti musicali che ritroveremo cento anni dopo (Highland Harry è del 1817)  nel ragtime e nella musica country. È noto che fu proprio dall’elaborazione dei canti popolari scozzesi e irlandesi introdotti alla fine dell’Ottocento da migranti provenienti da questi paesi sulla costa orientale degli Stati Uniti, soprattutto nella zona di Boston, che nacquero il folk e il country. Beethoven era già arrivato oltreoceano cento anni prima. Probabilmente è proprio attraverso questo lungo percorso del compositore attraverso la musica popolare che si possono spiegare i barlumi novecenteschi della già citata op.111 e di altre opere beethoveniane. Questa storia rappresenta l’ennesima occasione per invitare a riflettere sul fatto che la storia dell’umanità è anche una storia di migrazioni fin dalla comparsa dell’uomo e che i flussi migratori sono inevitabilmente flussi culturali e per questo motivo occasioni di arricchimento reciproco. Voltarsi dall’altra parte, odiare l’altro che è quanto di più simile a noi esiste,  mistificare la storia, è dannoso, ben poco intelligente e ci impoverirebbe culturalmente. A proposito di interpretazioni errate, di una di queste è stato vittima anche l’ An die Freude. Il brano è dal 1972 inno nazionale dell’Europa, ma è stato anche uno dei brani che il folle pensiero nazista assunse tra le sue musiche preferite, tanto da essere eseguita ad ogni compleanno del Führer, interpretando in senso individualista quello che è un inno all’universalità. A questa meravigliosa musica è toccato anche il ruolo di inno nazionale della Rhodesia, un Paese con una storia decisamente voltata al razzismo. Prima di lasciarvi all’ascolto del brano scelto, ci piace ricordare che una figura a noi cara e più volte citata nella pagine di questo blog, Don Lorenzo Milani, era solito far ascoltare ai suoi ragazzi della Scuola di Barbiana i quartetti di Beethoven e leggeva loro l’Apologia di Socrate. Tutto torna.

Buon ascolto.

Simone Salvi

 

“Beata caeli nuntio” di Francesco Colombini

Una di quelle meteore che della storia della musica, forse ancor più che di ogni altro ambito artistico, costellano il percorso. Quel poco che sappiamo di lui lo trovate in rete nella scarna pagina a lui dedicata nel Dizionario Biografico Treccani. Scarna perché tanto (rectius: poco) di lui conosciamo. Eppure ha composto musiche meravigliose.
Qua sotto il suo “Beata caeli nuntio”, contenuto nel Libro IV dei Concerti Ecclesiastici, nella magnifica esecuzione dei Modo Antiquo diretti dal Maestro Federico Maria Sardelli.

Simone Salvi

“Lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn”

Beethoven arrivò a Vienna nel Novembre del 1792 dalla sua città natale Bonn, città dove non tornerà più per tutti i suoi giorni. Il compositore, allora ventiduenne, portava con sé una lettera che oggi diremmo di raccomandazione, scritta per l’occasione dal suo amico e mecenate Conte Ferdinand Ernst von Waldstein, oltre ad un aiuto finanziario elargito dallo stesso. Il Conte Waldstein, uomo sensibile alla musica colta, impegnato in diverse missioni diplomatiche in qualità di Principe Elettore di Colonia, a Bonn fece amicizia col giovane compositore, stimolandolo a recarsi in quella che oggi come allora è riconosciuta capitale della musica classica. In città aleggiava ancora lo spirito di Mozart, morto l’anno prima, e tra un soggiorno inglese e l’altro vi lavorava il sessantenne Franz Joseph Haydn, il padre della Sinfonia classica. La temperie musicale viennese è perfettamente e splendidamente contenuta nelle lettera scritta dal conte Waldstein: “Il genio di Mozart è ancora in lutto e piange la morte del suo allievo. Ha trovato rifugio, ma non impiego, nell’inesauribile Haydn, per suo tramite aspira a riunirsi ancora una volta a qualcuno. Con lo studio incessante, Lei riceverà lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn.” Quanto profetizzato da Waldstein trovò presto realizzazione e superamento. Al suo mecenate degli anni giovanili e degli esordi viennesi, il compositore dedicò una della sue sonate per pianoforte più celebri: la Sonata n.21 in do maggiore, op. 53, nota sia come “Aurora” che, soprattutto, come “Waldstein”, composta nel 1804 ed eseguita per la prima volta nello stesso anno.

Simone Salvi

 

Poesia di Flora Gelli

Flora Gelli è poetessa, scrittrice e critica letteraria. Per me, ancora prima di tutto questo, è una cara amica. Ho conosciuto Flora un po’ attraverso le parole di suo marito Maurizio Silvi, astrofisico, scrittore e mio insegnante di Matematica e Fisica alle Scuole Superiori, scomparso nel 2012. Poi di persona, tre anni fa, quando mi telefonò a seguito di una mia lettera in cui le avevo scritto quanto fosse stato importante suo marito, il Professor Silvi,  per la mia formazione. A partire da questo articolo pubblicheremo spesso su questo blog le poesie di Flora, che è anche nostra lettrice. La prima poesia che pubblichiamo è un racconto in versi della storia tra Flora e Maurizio, che è anche uno stupendo inno all’amore vissuto nella condivisione della speranza di migliorare il mondo in cui viviamo.  Il titolo, bellissimo, è “Pescatori di naufraghe stelle”. A seguire una frase di Maurizio.

Simone Salvi

 

“Pescatori di naufraghe stelle”

Siamo figli di un vento ribelle

che ha soffiato graffiando le menti,

ne ha spezzato ed aperto le celle

in un vortice di cambiamenti.

Anche noi, sognatori scontenti,

a metà tra il passato e il futuro,

siamo andati a seguire quei venti

martellando un’ipocrita muro.

Eri giovane, chiaro e sicuro

di cambiare quel mondo malato,

liberarlo da un vivere scuro,

abbracciarlo nel verde di un prato.

E’ così che ti ho visto ed amato

con la luce negli occhi brillanti.

Nelle note di un coro stonato,

la tua voce spiccava fra tanti.

Ho serbato e cullato gli istanti

di quel vento che a me ti ha portato…

Fermo, ancora, ti vedo davanti,

combattente, pulito e incantato.

Un gran pezzo di vita è passato.

Lunghi giorni più grigi che rosa,

anche il mondo di poco è cambiato:

resta un cielo di tela nodosa.

Ma nei nostri discorsi si posa

sempre un soffio che accende la pelle

e una rete innalziamo, pietosa,

pescatori di naufraghe stelle.

Flora Gelli

“L’ultima speranza dell’Universo è che in esso esista qualcuno che riesca laddove noi abbiamo fallito.” Maurizio Silvi