Bassa Tv

Alberto Angela nella puntata del suo “Meraviglie, La Penisola dei tesori” trasmesso da Raiuno ieri sera parla del ciclo di affreschi della Basilica Superiore di Assisi come opera di Giotto. Già dagli anni Settanta l’attribuzione a Giotto di tali affreschi è dibattuta da storici dell’arte della statura intellettuale di Federico Zeri, Bruno Zanardi e Luciano Bellosi. I dubbi sulla paternità giottesca del ciclo con le Storie di San Francesco sono sempre più incisivi, a favore di Pietro Cavallini e della Scuola Romana.
Insomma, ieri sera abbiamo assistito all’ennesimo esempio del diffuso basso livello della comunicazione culturale in tv nel nostro Paese.
L’amico, geologo e con me curatore di questo blog, Mariano, qualche tempo fa in una documentario televisivo in cui si parlava dell’origine geologica della Sardegna ha sentito nominare la “Tirrenide”, un’entita geologica la cui passata esistenza è da anni messa in seria discussione dalla comunità scientifica. Trasmissioni che trattano questi temi dovrebbero prevedere l’esistenza di comitati scientifici seri in redazione.
E quando una trasmissione è seguita da quasi sei milioni di telespettatori, il danno è grosso.

Simone Salvi

Ma quale identità nazionale?

Questa riflessione nasce da una frase pronunciata dall’ottimo Maurizio Crozza nella puntata del suo Fratelli di Crozza del 2 Dicembre scorso: “in Italia ai migranti spariamo con gli idranti, ai fascisti diamo i microfoni”. Il duplice riferimento era ai brutali metodi usati dalla Polizia durante lo sgombero dello stabile di via Curtatone a Roma lo scorso 24 Agosto e alla totale indifferenza da parte dello Stato nei confronti dei recenti fatti di Como. Stato che dovrebbe essere in prima linea nel ricordare e nell’affermare che il fascismo non è un’opinione. Un’ideologia basata sull’imposizione e sull’uso della violenza, sia questa fisica che verbale, verso coloro che la pensano diversamente, non è un’opinione ma una violazione del diritto alla libertà di espressione. Diritto sancito dalla nostra bellissima Costituzione. Un testo che, occorre ricordare, non è neutro perché nato dalle ceneri del nazifascismo e della guerra. Un testo che come ci ricordano le bellissime parole del padre costituente Piero Calamandrei è nato “nelle montagne dove caddero i partigiani, nella carceri dove furono imprigionati”. Un testo che è uno stupendo fiore nato dal sangue, dalle riflessione sulla violenza che fu e che ci invita a non ripetere quegli errori. Il soffiare di venti fascisti nel nostro sventurato Paese, ormai con frequenza crescente, trova terreno colturale e si concretizza soprattutto nell’odio verso i nostri fratelli migranti in nome di una ridicola valorizzazione della nostra identità nazionale al grido di “Prima gli italiani”. Ma quale identità nazionale? Quella etrusca o quella greca? Quella araba o quella normanna? O quella longobarda? Quei “quattro ragazzi”, come li ha superficialmente definiti Matteo Salvini, dovrebbero tornare sui libri di storia. E tutti noi dovremmo ricordarci che se c’è un popolo su questa Terra che può veramente parlare di identità nazionale, questo è l’Africa, culla dell’uomo. Africa che noi europei ci siamo spartiti a tavolino nell’ambito di una politica coloniale, depredando Stati e talvolta sterminando le popolazioni locali. Con quale coraggio oggi ci mettiamo sulla bocca la frase “se vengono a casa nostra devono rispettare la nostra cultura”? Noi che non abbiamo avuto alcun rispetto della loro e di loro quando in Eritrea abbiamo usato il gas nervino. A questa osservazione i redivivi fascisti potrebbero rispondere che lo abbiamo fatto in nome della conquista, dell’ampliamento dei nostri domini e che la guerra è guerra. Allora consigliamo loro di rileggersi una poesia di Trilussa  dal titolo “Le formiche e er ragno”, che come molte poesie del poeta romanesco è ancora oggi attuale.

“Un gruppo de Formiche,
doppo tanto lavoro,
doppo tante fatiche,
s’ereno fatte la casetta loro
all’ombra der grispigno e de l’ortiche:
una casetta commoda e sicura
incanalata drent’a una fessura.

Ècchete che un ber giorno
un Ragno de lì intorno,
che viveva in un bucio troppo stretto,
vidde la casa e ce pijò possesso
senza nemmanco chièdeje er permesso.

— Formiche mie, — je disse co’ le bone —
quello che sta qui drento è tutto mio:
fateme largo e subbito! Er padrone
d’ora in avanti nun sarò che io;
però m’accorderò cór vostro Dio
e ve rispetterò la religgione. —

Ma allora una Formica de coraggio
incominciò a strillà: — Che propotenza!
Questo è un vero sopruso! Un brigantaggio!
Perché nun è né giusto né legale… —

Er Ragno disse: — Forse, a l’apparenza:
ma, in fonno, è ‘na conquista coloniale.”

 

Ah, in riferimento ai fatti di Como persino il vecchio Umberto Bossi si è dissociato da quelle persone redarguendo il suo compagno di partito Salvini. Certo che se ci troviamo a dover dar ragione a Bossi, siamo messi davvero male.

 

Simone Salvi

Statua di Eirene

Mentre in gran parte dei Paesi di questo sventurato pianeta aumentano di anno in anno le spese militari, facciamo un balzo indietro di 2500 anni, con il pensiero e con lo sguardo, all’antica Grecia. Si è soliti affermare, a ragione, che la civiltà greca antica fu l’incubatrice della civiltà stessa. Letterati quali Omero, che pure il Sommo Dante Alighieri definisce “poeta sovrano”, scultori quali Fidia e Prassitele, pensatori quali Socrate, Platone, Aristotele, e molti altri personaggi nei loro diversi ambiti, hanno piantato i semi della civiltà. Semi che spesso hanno germinato dando frutti che esistono, o almeno resistono, ancora oggi. Tra le idee sviluppate in quella fucina del pensiero umano vi fu quella della corrispondenza tra pace e ricchezza, dunque tra pace e benessere della popolazione. La pace era un’idea tanto importante che i greci antichi le dedicarono una dea, di nome Eirene. Dalla traduzione dal greco antico all’italiano, deriva uno dei nomi femminili più belli e ricchi di significato ancora oggi diffuso, Irene, cioè pace. Nella mitologia classica Eirene era una delle Ore, figlia di Zeus e Temi e sorella di Eunomìa e Dike. Anche quest’ultime assunte a ruoli importanti, rispettivamente, quelli di dea dell’ordine e dea della giustizia. Insomma, una triade importante. A partire dal V secolo a.C., il “secolo d’oro” della Grecia antica e di Atene in particolare, numerose sono state le rappresentazioni di Eirene in scultura. Una delle più celebri e incantevoli è quella realizzata nel IV secolo dal grande scultore Cefisodoto Il Vecchio, capostipite di una famiglia di eccellenti scultori e probabilmente padre del più noto Prassitele. Come di molte statue greche di quel periodo ne è giunta a noi in ottime condizioni una copia romana, di autore ignoto, conservata oggi nella Gliptoteca di Monaco di Baviera. L’iconografia è quella più frequente per questo soggetto, con Eirene che porta in braccio Pluto, dio della ricchezza. La statua ebbe talmente successo da essere posta sull’Agorà di Atene e raffigurate su monete dell’epoca. In altre rappresentazioni di questo soggetto, la dea regge con le mani una cornucopia o un ramoscello d’olivo, simboli di prosperità e pace. Insomma, i nostri maestri di civiltà avevano intuito che la pace fosse condizione fondamentale per la prosperità, la ricchezza e il benessere dei popoli. Peccato che nella società moderna questo concetto sia tanto disatteso. Disatteso da noi che spendiamo cifre esorbitanti per una folle corsa agli armamenti, utile solo agli interessi dell’ industria bellica, togliendo risorse alla cultura e al suo mantenimento, lasciando così cadere a pezzi statue e significati di un mondo ormai sempre più lontano.

Simone Salvi

 

“Io non mi sento italiano”. E nemmeno europeo.

Chi continua ad applaudire alla cosiddetta “condotta Minniti” sulle ONG e più in generale agli accordi tra Italia e Libia per fermare i nostri fratelli migranti compie un atto di ipocrita cecità. Ieri l’ONU, rivolta all’Unione Europea, ha definito tali accordi “un patto disumano”. Ormai ciò che sta accadendo in mare, dove si assiste a scontri tra la sedicente Guardia Costiera libica e le navi delle ONG, e ciò che sta accadendo nei lager libici, è diffuso da tutti i mezzi di informazione esistenti. Immagini e video sono inconfutabilmente eloquenti. Chi continua ad applaudire è dunque un finto cieco, è un complice di chi ha stabilito questi criminosi accordi, degli ex scafisti che oggi indossano la divisa della Guardia Costiera libica, dei battitori d’asta di esseri umani.

Simone Salvi

http://www.corriere.it/video-articoli/2017/11/14/libia-dramma-migranti-venduti-all-asta-come-schiavi/83a90d36-c955-11e7-8a54-e86623f761be.shtml

Sciocchezzaio su Antigone di Eva Cantarella e Umberto Galimberti

Sottoponiamo ai lettori del nostro blog  un commento aspro e strameritato sulle infinite balordaggini espresse sulla nobile figura di Antigone nel 2013 e nel 2014  da due mostri sacri della carta stampata: Eva Cantarella, giurista, scrittrice, docente di Istituzioni di Diritto Romano e Diritto Greco all’Università di Milano e Umberto Galimberti, filosofo, professore ordinario di filosofia della Storia all’Università Ca Foscari di Venezia ed editorialista di Repubblica. Cominciamo da Eva Cantarella. Il 10 agosto 2014 alle pagine 48 e 49 di Repubblica compare una sua intervista a cura  di Antonio Gnoli che incomincia a sinistra in alto con una parola profetica in grassetto: Straparlando seguita da una breve presentazione dell’intervistata. Sotto appare il titolo: Eva Cantarella “Ho scelto tra diritto e miti greci ora so che Antigone aveva torto”. L’intervistatore propone : “C’è il caso di Antigone”. Risposta: “L’ho sempre vista con gli occhi del giurista”. Gnoli: “Difende i valori della famiglia”. Cantarella: “Vuole dare sepoltura al fratello contro i valori della Polis. Creonte, il re, si oppone, perché considera Polinice un nemico della patria. Ed emette un decreto di morte contro chiunque voglia violare la sua decisione”. Prima obiezione: “i valori della Polis non possono coincidere con il divieto di sepoltura di un cadavere, qualunque esso sia; per il mondo antico, dalla civiltà micenea fino al mondo classico greco-romano un simile divieto sarebbe stato bollato come una vera e propria bestemmia, volendo usare una definizione moderna, per gli stessi motivi che da sempre hanno guidato gli spiriti liberi e antifascisti  a considerare le leggi razziali di Mussolini come una vergognosa ignominia. Non dimentichiamo, a questo proposito, il pamphlet “L’obbedienza non è più una virtù” in cui Don Milani illustrava  il diritto alla disobbedienza nei confronti di leggi e ordini  che violino le fondamenta stesse dell’etica e del vivere civile. Il dovere di seppellire i cadaveri  è paragonabile a quello dei salvataggi in mare di vite umane in pericolo, che giuristi tedeschi, interpellati dal Bundestag in  seguito al sequestro della nave Ong Jugend Rettet, hanno definito “un dovere secolare dei popoli, consuetudinario e non scritto” antecedente e di rango superiore rispetto alle leggi nazionali che non possono proibire la libera e doverosa effettuazione dei salvataggi stessi (La Repubblica 5 agosto 2017). Scrive Corrado Augias su Repubblica del 2 luglio 2016 in un pezzo intitolato “Il mare di Antigone”: “Ho cercato di ricostruire la genesi del precetto che impone ai viventi la pietà verso i defunti e ai seguaci delle religioni, in primis la cristiana, di compiere la fondamentale opera di misericordia riassunta nel precetto: seppellire i morti”. E nell’ultimo capoverso Augias aggiunge: “Ma è nella tragedia di Sofocle dedicata ad Antigone che troviamo forse l’esempio supremo di una pietà che supera addirittura le leggi degli uomini per iscriversi in un ordine etico superiore”. Augias conclude che “Antigone disobbedisce all’ordine (di Creonte) e dà ugualmente sepoltura al fratello…ma la perorazione con la quale rivendica il suo gesto resta un ammonimento valido oggi, dopo venticinque secoli, come lo era allora”. Per far capire la sacralità del seppellimento dei morti nel mondo antico greco-romano Anna Ferrari  nel suo Dizionario di Mitologia, UTET 2006, a pag. 348 afferma che “già nei poemi omerici l’importanza della sepoltura è enfatizzata: seppellire i caduti è un sacro dovere… Sarà per assolvere a questo sacro dovere e per impedire che la salma del fratello Polinice resti insepolta che Antigone, nell’omonima tragedia di Sofocle, oserà sfidare gli ordini espliciti di Creonte, non esitando ad andare a sua volta incontro alla morte”. Nella sua intervista, a proposito della decisione di Creonte,  Gnoli così prosegue: “ Antigone sceglie di contrapporsi a quella decisione. Cantarella : “ E lo fa con un’ortodossia inusitata”. Gnoli: “Prende le parti di Creonte?” Cantarella: “ Nonostante tutto lo considero un buon governante.” Definire  “ortodossia inusitata” l’adempimento di un sacro dovere (Grecia del V sec. A.C.) da parte di Antigone nel dare sepoltura dignitosa al fratello Polinice, significa ignorare completamente un capitolo importantissimo dei doveri considerati imprescindibili nel mondo antico: un vero e proprio errore da matita blu in un tema di allievi del Liceo Classico. Quanto al definire Creonte “un buon governante” c’è da restare allibiti: un tiranno che impone un divieto disumano, quale è la proibizione di dare sepoltura dignitosa a un cadavere, quale esso sia, in palese contrasto con i valori supremi di ogni società umana da Neanderthal fino a oggi, sarebbe un buon governante? Ma allora  possiamo anche rivedere i nostri giudizi su Hitler, Stalin e Pol Pot. Quousque tandem Cantarella…Ma la ciliegina finale nella discutibile intervista degna di Novella 2000 o di Chi si incontra poco dopo. Gnoli: “ Non le piace proprio Antigone? ” Cantarella: “ Ha un carattere freddo, inflessibile, basta vedere come tratta la sorella! Dice cose strane, non accetta confronti con nessuno”, “Signora mia” aggiungerebbe la Signora Cecioni di Franca Valeri. Appare sconcertante che una studiosa del mondo greco-romano, universalmente osannata, nel parlare di Antigone  possa scadere a livello di pettegolezzo  di un settimanale femminile da salone di parrucchiere per signora.

A giudizi così sommari e ridicoli sul “caratteraccio”  di Antigone contrapponiamo gli splendidi versi con cui Ugo Foscolo esalta la sacralità del rito funebre, in parole povere, del seppellimento di un cadavere:

Celeste è questa
corrispondenza d’amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l’amico estinto
e l’estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall’insultar de’ nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.”

U. Foscolo, Dei Sepolcri, vv. 30-41

Mariano Puxeddu

A completamento dell’articolo “Sciocchezzaio su Antigone di Eva Cantarella e Umberto Galimberti” dell’8/11/2017, pubblichiamo la seconda parte con le osservazioni alle considerazioni di U. Galimberti

Riguardo al mito di Antigone molto discutibile appare anche l’interpretazione che ne dà Umberto Galimberti nell’articolo “la Legge della Famiglia e la legge di tutti”, supplemento 2 febbraio 2013 al giornale La Repubblica, forse fuorviato dai versi 661-662 della tragedia “Antigone” di Sofocle che dicono: “Chi è corretto nei rapporti famigliari, sarà giusto anche verso la città”. Secondo Galimberti Sofocle “presenta Creonte come tiranno malvagio e Antigone come eroina.” Galimberti prosegue dicendo che “Hegel… non concorda con Sofocle, perché a suo parere i diritti del sangue e della parentela, non possono aver la meglio sulle leggi della città. La requisitoria di Galimberti prosegue così: “volendo riportare ai giorni nostri e in particolare alla situazione italiana il tema dell’Antigone, non vinceremo mai la mafia se la legge della parentela e del sangue hanno la meglio sulla legge della città, non arriveremo mai a migliorare la città se la legge familistica della raccomandazione, delle conoscenze, dello scambio di favori privilegia figli e parenti ai meritevoli. E non vale neppure invocare le leggi non scritte e immutabili degli dei, come fa Antigone, perché non può esserci interferenza religiosa nella formulazione e nell’ossequio alle leggi della città…Sofocle, mettendo in scena il conflitto tra la legge del sangue, della parentela, degli dei e la legge della città, offre nel V secolo un grande tema su cui riflettere. La prima obiezione a simili ragionamenti è questa: non si può in alcun modo strappare dal contesto storico in cui è stata scritta la tragedia da Sofocle e scaraventarla arbitrariamente in un contesto moderno. Seconda obiezione: come detto prima, riguardo alle opinioni espresse da Eva Cantarella esiste da sempre il diritto consuetudinario o “Ius cogens”, ossia l’insieme di norme che, per essere poste a tutela di beni o valori ritenuti fondamentali dalla comunità internazionale nel suo insieme, sono riconosciute come imperative, o inderogabili e preordinate e di rango superiore rispetto alle

leggi degli stati: tra queste norme, sia nel mondo classico greco-romano, come già detto, sia, aggiungo ora, nella tradizione giudaico-cristiana il diritto alla sepoltura era sacro e inviolabile. A questo sacro principio obbedisce Antigone che non può essere in alcun modo accusata di un anacronistico “familismo amorale” (non siamo nella Basilicata di Banfield, 1958). Il dovere di disobbedire a leggi ingiuste contrarie al diritto consuetudinario, preordinato a qualunque legge umana, ha ispirato il comportamento di Antigone che seppellisce il fratello Polinice, violando il divieto imposto per legge da Creonte. Riassumendo quanto detto in precedenza, sia Eva Cantarella che Umberto Galimberti accusano Antigone di voler “dare sepoltura al fratello contro i valori della Polis” (Eva Cantarella) o addirittura (Umberto Galimberti) di “interferenza religiosa” avendo privilegiato “la legge del sangue, della parentela, degli dei” rispetto all’osservanza della “legge della città” Ma la convinzione che sia Eva Cantarella che Umberto Galimberti diano una interpretazione errata del comportamento di Antigone emerge come un dono dagli stupendi versi 449-457 della tragedia di Sofocle: in essi appare evidente come Antigone, lungi dall’essere pervasa da una mistica religiosa del tutto estranea al politeismo greco del V secolo A.C. ( la “interferenza religiosa”di Galimberti), abbia ben chiaro il concetto di “Ius cogens”. Leggiamo attentamente la risposta di Antigone al tiranno liberticida (Antigone versi 449-457; per chi non conosce l’alfabeto greco utilizzo quello latino, comune a molte lingue moderne): “Kreonte: kài déta (e nondimeno) etòlmas (osavi) toùs d’uperbàinen nòmous (queste violare norme)? Antigone: ou gàr tì moi (non infatti mica a me) Zéus (Giove) én (era) o (colui che) keruxas (intimava) tàde (quegli ordini),/oud’e (né la) xùnoikos (coabitante) tòn kàto (con i disotto) theòn (dei) Dìke (Giustizia)/ toioùsde en anthropòisin (siffatte negli uomini) òrisen nòmous (fissò norme);/ oude sthènein (né fossero forti) tosoùton (in tale misura) oòmen (credevo) tà sa/ kerùgmata (i tuoi ordini), òst’àgrapta kasphalé (kài asphalé) (al punto da, non scritte e immutabili) theòn (degli dei) / nòmima (leggi) dùnasthai (potere) thnetòn ònth’uperdraméin (tu, essendo mortale, violare);/ou gàr ti (non infatti per niente) nùn ge kachtés (kài achtés) (ora certo e da ieri), all’aéi pote (ma da sempre)/ zé (esistono) tàuta (queste) (sottinteso:leggi), koudéis (kai oudéis) (e nessuno) òiden (sa) ex òtou (perché) ephàne (comparvero). Ossia: “Creonte: E nondimeno osavi trasgredire queste leggi. Antigone: Infatti non era mica Zeus che mi intimava quegli ordini, né la Giustizia, che abita con gli dei sotterra, fissò siffatte leggi fra gli uomini; né io credevo che i tuoi ordini fossero forti a tal punto, da potere tu, che sei mortale, violare le leggi non scritte e immutabili degli dei; poiché esse non da oggi, certo, e da ieri, ma da sempre esistono e nessuno sa perché comparvero.” La nobile figura di Antigone e la sua sacrosanta violazione della legge disumana imposta da Creonte vengono illustrate dai versi eloquenti che Sofocle mette in bocca a Emone figlio di Creonte e innamorato di Antigone di cui, in un estremo atto di amore, seguirà la tragica sorte: Antigone versi 692-700: “Emòi d’akoùein (a me udire invece) ésth’upò skòtou (è possibile nell’ombra) tàde (tali discorsi),/ tén pàida tàuten (questa fanciulla) òi’odùretai pòlis (cioè compiange la città),/ pasòn gunaikòn (di tutte donne) os anaxiotàte (come la più immeritevole sottinteso: di soffrire)/ kakista (in pessimo stato, nella più miserevole condizione) ap’érgon eukleestàton (per azioni gloriosissime) phthìnei (perisce, muore);/ étis (lei che) tòn autés autàdelphon (il di lei proprio fratello) en phonàis (nelle stragi)/ peptòta (caduto) àthapton (insepolto) meth’up’omestòn kunòn (né da crudivori cani)/ èiase olésthai (permise venisse distrutto,divorato) mèth’up’oionòn (né da degli uccelli rapaci) tinòs (alcuno);/ouk (non) éde ( sottinteso:sarebbe invece) chrusés (un aureo)

axìa (degno) timés (onore) làchein (di ricevere)? Toiàde (siffatta) eremné (oscura) sìg’éperchetai (sommessamente si diffonde) phatis (diceria). Ossia: “A me invece è possibile udire siffatti discorsi nell’ombra, come ad esempio che la città compiange questa fanciulla e che essa, la più immeritevole di soffrire di tutte le donne, muore miseramente per gloriosissime azioni, lei che non permise che il fratello, caduto nelle stragi, insepolto, venisse divorato da cani mangiatori di carne cruda e da uccelli rapaci. Non sarebbe essa invece degna di ricevere un aureo onore? Siffatta oscura diceria si diffonde sommessamente.” Come si vede la pietosa sepoltura di un cadavere era doverosa nella Grecia classica proprio per evitare lo strazio del corpo umano da parte di cani e uccelli rapaci. La remotissima tradizione del pietoso seppellimento dei cadaveri già evidentissima negli ominidi (Homo neanderthalensis, Homo sapiens) continua nel mondo classico greco-romano e si perpetua nella tradizione giudaico-cristiana (la Bibbia, Vangelo di Matteo 25, 31-46). La Chiesa Cattolica aggiunge alle sei opere di misericordia corporali illustrate nel suddetto passo del Vangelo di Matteo anche il seppellimento dei cadaveri come settima opera di misericordia corporale immortalata nel polittico del Maestro di Alkmaar (The Netherlands) datato 1504. Anche in questo caso, nel criticare le considerazioni di Umberto Galimberti, cito con maggiori dettagli, la risposta di Don Milani ai cappellani militari toscani che hanno sottoscritto il comunicato dell’11-2-1965 e la lettera di Don Milani ai giudici che lo processano datata 18 ottobre 1965 riunite nel libro “L’obbedienza non è più una virtù” della Libera Editrice Fiorentina (1965) in cui viene affermato l’obbligo di disobbedire agli ordini ingiusti e di non rispettare le leggi che violino i diritti fondamentali dell’essere umano, assumendosi la responsabilità di una simile scelta e accettandone le conseguenze. Una citazione finale in merito al dovere eterno di seppellire i morti la riservo al film “Biruma no Tategoto” (“L’Arpa Birmana” in Italia) capolavoro del regista Kon Ichikawa (1956) così illustrato da Fernaldo Di Giammatteo nel Dizionario del cinema: “A guerra conclusa (luglio 1945), un gruppo di soldati giapponesi ancora prigionieri in Birmania incontra nella foresta uno strano bonzo, con un’arpa e un pappagallo sulle spalle. È un loro compagno considerato disperso, Mizushima, ancora sconvolto, chiuso in un mutismo impenetrabile. Il suo comandante, anche dopo la capitolazione del Giappone rifiutò di arrendersi e condusse i propri uomini al macello. Mizushima fu l’unico sopravvissuto. Ferito, dopo aver vagato a lungo, fu raccolto e curato da un bonzo pietoso. Guarito, col proposito di raggiungere i suoi, s’imbatté nel cumulo di cadaveri ammassati nella pianura. Ora il suo compito è quello di seppellire quei morti, dedicando la propria vita di monaco ad onorare i caduti (anche quelli nemici). Mentre i compagni ritornano in Giappone, Mizushima, sordo ai loro richiami, resta in Birmania a continuare la sua missione.” Invia loro questa lettera: «Ho superato i monti, guadato i fiumi, come la guerra li aveva superati e guadati in un urlo insano. Ho visto l’erba bruciata, i campi riarsi… perché tanta distruzione caduta sul mondo? E la luce mi illuminò i pensieri. Nessun pensiero umano può dare una risposta a un interrogativo inumano. Io non potevo che portare un poco di pietà laddove non era esistita che crudeltà. Quanti dovrebbero avere questa pietà! Allora non importerebbero la guerra, la sofferenza, la distruzione, la paura, se solo potessero da queste nascere alcune lacrime di carità umana. Vorrei continuare in questa mia missione, continuare nel tempo fino alla fine.» (Wikipedia). Per concludere, come si vede, Antigone è in buona compagnia visto che in un recente capolavoro cinematografico il seppellimento di un morto è tuttora considerato come un sacro dovere e non come una pratica di familismo amorale.

Mariano Puxeddu