“Il primo atto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro nome.”
Rosa Luxemburg
“Il primo atto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro nome.”
Rosa Luxemburg
Una di quelle meteore che della storia della musica, forse ancor più che di ogni altro ambito artistico, costellano il percorso. Quel poco che sappiamo di lui lo trovate in rete nella scarna pagina a lui dedicata nel Dizionario Biografico Treccani. Scarna perché tanto (rectius: poco) di lui conosciamo. Eppure ha composto musiche meravigliose.
Qua sotto il suo “Beata caeli nuntio”, contenuto nel Libro IV dei Concerti Ecclesiastici, nella magnifica esecuzione dei Modo Antiquo diretti dal Maestro Federico Maria Sardelli.
Simone Salvi
Beethoven arrivò a Vienna nel Novembre del 1792 dalla sua città natale Bonn, città dove non tornerà più per tutti i suoi giorni. Il compositore, allora ventiduenne, portava con sé una lettera che oggi diremmo di raccomandazione, scritta per l’occasione dal suo amico e mecenate Conte Ferdinand Ernst von Waldstein, oltre ad un aiuto finanziario elargito dallo stesso. Il Conte Waldstein, uomo sensibile alla musica colta, impegnato in diverse missioni diplomatiche in qualità di Principe Elettore di Colonia, a Bonn fece amicizia col giovane compositore, stimolandolo a recarsi in quella che oggi come allora è riconosciuta capitale della musica classica. In città aleggiava ancora lo spirito di Mozart, morto l’anno prima, e tra un soggiorno inglese e l’altro vi lavorava il sessantenne Franz Joseph Haydn, il padre della Sinfonia classica. La temperie musicale viennese è perfettamente e splendidamente contenuta nelle lettera scritta dal conte Waldstein: “Il genio di Mozart è ancora in lutto e piange la morte del suo allievo. Ha trovato rifugio, ma non impiego, nell’inesauribile Haydn, per suo tramite aspira a riunirsi ancora una volta a qualcuno. Con lo studio incessante, Lei riceverà lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn.” Quanto profetizzato da Waldstein trovò presto realizzazione e superamento. Al suo mecenate degli anni giovanili e degli esordi viennesi, il compositore dedicò una della sue sonate per pianoforte più celebri: la Sonata n.21 in do maggiore, op. 53, nota sia come “Aurora” che, soprattutto, come “Waldstein”, composta nel 1804 ed eseguita per la prima volta nello stesso anno.
Simone Salvi
Flora Gelli è poetessa, scrittrice e critica letteraria. Per me, ancora prima di tutto questo, è una cara amica. Ho conosciuto Flora un po’ attraverso le parole di suo marito Maurizio Silvi, astrofisico, scrittore e mio insegnante di Matematica e Fisica alle Scuole Superiori, scomparso nel 2012. Poi di persona, tre anni fa, quando mi telefonò a seguito di una mia lettera in cui le avevo scritto quanto fosse stato importante suo marito, il Professor Silvi, per la mia formazione. A partire da questo articolo pubblicheremo spesso su questo blog le poesie di Flora, che è anche nostra lettrice. La prima poesia che pubblichiamo è un racconto in versi della storia tra Flora e Maurizio, che è anche uno stupendo inno all’amore vissuto nella condivisione della speranza di migliorare il mondo in cui viviamo. Il titolo, bellissimo, è “Pescatori di naufraghe stelle”. A seguire una frase di Maurizio.
Simone Salvi
“Pescatori di naufraghe stelle”
Siamo figli di un vento ribelle
che ha soffiato graffiando le menti,
ne ha spezzato ed aperto le celle
in un vortice di cambiamenti.
Anche noi, sognatori scontenti,
a metà tra il passato e il futuro,
siamo andati a seguire quei venti
martellando un’ipocrita muro.
Eri giovane, chiaro e sicuro
di cambiare quel mondo malato,
liberarlo da un vivere scuro,
abbracciarlo nel verde di un prato.
E’ così che ti ho visto ed amato
con la luce negli occhi brillanti.
Nelle note di un coro stonato,
la tua voce spiccava fra tanti.
Ho serbato e cullato gli istanti
di quel vento che a me ti ha portato…
Fermo, ancora, ti vedo davanti,
combattente, pulito e incantato.
Un gran pezzo di vita è passato.
Lunghi giorni più grigi che rosa,
anche il mondo di poco è cambiato:
resta un cielo di tela nodosa.
Ma nei nostri discorsi si posa
sempre un soffio che accende la pelle
e una rete innalziamo, pietosa,
pescatori di naufraghe stelle.
Flora Gelli
“L’ultima speranza dell’Universo è che in esso esista qualcuno che riesca laddove noi abbiamo fallito.” Maurizio Silvi
Solitamente trovo Gramellini un po’stucchevole, ma questo suo pensiero lo trovo meraviglioso e vero: “La scuola serve a spingere i ragazzi ad ammirare un tramonto e non solo una vetrina, a gestire un sentimento, a sopportare di essere lasciati da qualcuno che non mi ama più.” Mi permetto di fare una piccola aggiunta: la scuola e la cultura sono bellissime, perché ci permettono di ammirare lo stesso tramonto consapevoli del perché il cielo assume a quell’ora tinte rosa, magari ricordandoci un dipinto di Giambattista Tiepolo; sono bellissime perché ci permettono di guardare il cielo stellato consapevoli del perché le stelle brillano, rendendolo per questo, credo, ancora più bello.
Simone Salvi
Massimo Gramellini, Le parole della settimana
"La scuola serve a spingere i ragazzi ad ammirare un tramonto e non solo una vetrina. È folle pensare che serva solo a dare un lavoro, la vera infamia è non fare niente per invertire la rotta"Massimo Gramellini a Le parole della settimana
Pubblicato da Rai3 su lunedì 23 aprile 2018
Pubblichiamo qua il video della conferenza “Mondo Quantistico e Umanesimo”, tenuta dal nostro amico, Prof. Sergio Doplicher, a Lucca lo scorso 21 Novembre. L’evento è stato patrocinato dall’ANPI, Sezione di Lucca.
Simone Salvi e Mariano Puxeddu
Credo che la musica, più di ogni altra forma d’arte, abbia capacità di affratellare. Nel caso di questa musica il significato è ancora maggiore, perché le prime parole intonate dal coro che canta l’An die Freude, scritto da F. Schiller e musicato da Ludwig van Beethoven, sono “Alle menschen werden bruder”, “tutti gli uomini saranno fratelli”. Speriamo.
Simone Salvi
“Tu non fai una fotografia solo con la macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai ascoltato e le persone che hai amato.” Ansel Adams
Jacopo Chimenti detto L’Empoli (1551-1640)
Cena in Emmaus
1609
olio su tela
Castello di Pomino
Grazie ad un restauro durato tre anni curato dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e finanziato dal mecenate (uomini rari, ahinoi) Aldo Osti, la stupenda Resurrezione di Piero della Francesca è stata restituita al suo splendore. Gli Autori di questo blog fin dalla loro adolescenza nutrono profonda ammirazione per la pittura del grande Piero ed è con questo dipinto che augurano ai loro compagni di navigazione una Buona Pasqua. Forse mai come in questi ultimi tempi dovremmo riflettere sul significato più autentico e profondo della Resurrezione. In un mondo in cui si alzano muri, in cui solidarietà e disperazione diventano dei reati, in cui un uomo che mette in atto i più basilari gesti di umana pietas rischia il carcere, dovremmo recuperare, che si creda o meno in Dio, il messaggio di Gesù contenuto nei Vangeli. Il dipinto di Piero, nella sua austerità, è estremamente eloquente nell’esprimere il significato più profondo della Resurrezione di Gesù, dunque della Pasqua. Il paesaggio alle spalle di Cristo risorto, letto da sinistra verso destra, ha un doppio significato allegorico. Nella parte sinistra dello sfondo il paesaggio è scarno, brullo e senza alcun segno di presenza o attività umana. E’ la Terra prima della Resurrezione. Alla nostra destra il paesaggio è rinato, ubertoso, ricco di vegetazione e di tracce della presenza umana. E’ la Terra risorta insieme a Cristo. Il pregevole restauro ha restituito il cielo al suo bellissimo azzurro e ci permette di cogliere ogni dettaglio del dipinto. Come in tutti i dipinti di Piero l’atmosfera complessiva pare cristallizzata, ma è proprio questo tratto comune a gran parte della produzione del pittore, che fissa, in questo caso su un pezzo di intonaco, il significato del tema raffigurato. Questo capolavoro pittorico, insieme a Sansepolcro, paese nei pressi di Arezzo che fin dalla sua genesi lo ospita, ha rischiato di andare probabilmente distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Il Generale britannico Anthony Clarke nel 1944 guidava un contingente di truppe alleate nell’Italia centrale, a caccia degli ultimi residui di focolai nazifascisti. Quando si trovò nei presso di Sansepolcro il Generale ricordò un passo da “Along the road” di Aldous Huxley, letto quasi vent’anni prima, nel quale lo scrittorie britannico segnala la presenza in paese de “la più bella pittura del mondo”, la Resurrezione di Piero della Francesca. “Dovevo avere diciotto anni quando lessi un saggio di Aldous Huxley. Ricordavo con chiarezza il racconto del suo faticoso viaggio da Arezzo a Sansepolcro e, tuttavia, quanto meritasse farlo quel viaggio, dato che a Sansepolcro c’era la ‘Resurrezione’ di Piero della Francesca, ‘la più bella pittura del mondo’. Feci un calcolo dei bossoli sparati e fui sicuro che se non l’avessi già distrutta, avrei potuto, proseguendo il bombardamento, danneggiarla gravemente. E feci cessare il fuoco.” Queste parole sono scritte in uno dei diari del Generale Clarke rinvenuti a Citta del Capo nel Dicembre del 2011. Memore della lettura del libro di Huxley, Clarke si oppose in ogni modo al cannoneggiare il borgo biturgense, salvando così da distruzione quasi certa dipinto e paese. Al termine del conflitto Anthony Clarke lasciò l’esercito ed aprì una libreria a Città del Capo. La cultura salva, davvero.
Simone Salvi e Mariano Puxeddu
PIERO DELLA FRANCESCA (1416/1417- 1492)
RESURREZIONE
1465 circa
affresco