Buona Pasqua con Piero della Francesca

Grazie ad un restauro durato tre anni curato dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e finanziato dal mecenate (uomini rari, ahinoi) Aldo Osti, la stupenda Resurrezione di Piero della Francesca è stata restituita al suo splendore. Gli Autori di questo blog fin dalla loro adolescenza nutrono profonda ammirazione per la pittura del grande Piero ed è con questo dipinto che augurano ai loro compagni di navigazione una Buona Pasqua. Forse mai come in questi ultimi tempi dovremmo riflettere sul significato più autentico e profondo della Resurrezione. In un mondo in cui si alzano muri, in cui solidarietà e disperazione diventano dei reati, in cui un uomo che mette in atto i più basilari gesti di umana pietas rischia il carcere, dovremmo recuperare, che si creda o meno in Dio, il messaggio di Gesù contenuto nei Vangeli. Il dipinto di Piero, nella sua austerità, è  estremamente eloquente nell’esprimere il significato più profondo della Resurrezione di Gesù, dunque della Pasqua. Il paesaggio alle spalle di Cristo risorto, letto da sinistra verso destra, ha un doppio significato allegorico. Nella parte sinistra dello sfondo il paesaggio è scarno, brullo e senza alcun segno di presenza o attività umana. E’ la Terra prima della Resurrezione. Alla nostra destra il paesaggio è rinato, ubertoso, ricco di vegetazione e di tracce della presenza umana. E’ la Terra risorta insieme a Cristo. Il pregevole restauro ha restituito il cielo al suo bellissimo azzurro e ci permette di cogliere ogni dettaglio del dipinto. Come in tutti i dipinti di Piero l’atmosfera complessiva pare cristallizzata, ma è proprio questo tratto comune a gran parte della produzione del pittore, che fissa, in questo caso su un pezzo di intonaco, il significato del tema raffigurato. Questo capolavoro pittorico, insieme a Sansepolcro, paese nei pressi di Arezzo che fin dalla sua genesi lo ospita, ha rischiato di andare probabilmente distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Il Generale britannico Anthony Clarke nel 1944 guidava un contingente di truppe alleate nell’Italia centrale, a caccia degli ultimi residui di focolai nazifascisti. Quando si trovò nei presso di Sansepolcro il Generale ricordò un passo da “Along the road” di Aldous Huxley, letto quasi vent’anni prima, nel quale lo scrittorie britannico segnala la presenza in paese de “la più bella pittura del mondo”, la Resurrezione di Piero della Francesca. “Dovevo avere diciotto anni quando lessi un saggio di Aldous Huxley. Ricordavo con chiarezza il racconto del suo faticoso viaggio da Arezzo a Sansepolcro e, tuttavia, quanto meritasse farlo quel viaggio, dato che a Sansepolcro c’era la ‘Resurrezione’ di Piero della Francesca, ‘la più bella pittura del mondo’. Feci un calcolo dei bossoli sparati e fui sicuro che se non l’avessi già distrutta, avrei potuto, proseguendo il bombardamento, danneggiarla gravemente. E feci cessare il fuoco.” Queste parole sono scritte in uno dei diari del Generale Clarke rinvenuti a Citta del Capo nel Dicembre del 2011. Memore della lettura del libro di Huxley, Clarke si oppose in ogni modo al cannoneggiare il borgo biturgense, salvando così da distruzione quasi certa dipinto e paese. Al termine del conflitto Anthony Clarke lasciò l’esercito ed aprì una libreria a Città del Capo. La cultura salva, davvero.

Simone Salvi e Mariano Puxeddu

PIERO DELLA FRANCESCA (1416/1417- 1492)

RESURREZIONE

1465 circa

affresco

Statua di Eirene

Mentre in gran parte dei Paesi di questo sventurato pianeta aumentano di anno in anno le spese militari, facciamo un balzo indietro di 2500 anni, con il pensiero e con lo sguardo, all’antica Grecia. Si è soliti affermare, a ragione, che la civiltà greca antica fu l’incubatrice della civiltà stessa. Letterati quali Omero, che pure il Sommo Dante Alighieri definisce “poeta sovrano”, scultori quali Fidia e Prassitele, pensatori quali Socrate, Platone, Aristotele, e molti altri personaggi nei loro diversi ambiti, hanno piantato i semi della civiltà. Semi che spesso hanno germinato dando frutti che esistono, o almeno resistono, ancora oggi. Tra le idee sviluppate in quella fucina del pensiero umano vi fu quella della corrispondenza tra pace e ricchezza, dunque tra pace e benessere della popolazione. La pace era un’idea tanto importante che i greci antichi le dedicarono una dea, di nome Eirene. Dalla traduzione dal greco antico all’italiano, deriva uno dei nomi femminili più belli e ricchi di significato ancora oggi diffuso, Irene, cioè pace. Nella mitologia classica Eirene era una delle Ore, figlia di Zeus e Temi e sorella di Eunomìa e Dike. Anche quest’ultime assunte a ruoli importanti, rispettivamente, quelli di dea dell’ordine e dea della giustizia. Insomma, una triade importante. A partire dal V secolo a.C., il “secolo d’oro” della Grecia antica e di Atene in particolare, numerose sono state le rappresentazioni di Eirene in scultura. Una delle più celebri e incantevoli è quella realizzata nel IV secolo dal grande scultore Cefisodoto Il Vecchio, capostipite di una famiglia di eccellenti scultori e probabilmente padre del più noto Prassitele. Come di molte statue greche di quel periodo ne è giunta a noi in ottime condizioni una copia romana, di autore ignoto, conservata oggi nella Gliptoteca di Monaco di Baviera. L’iconografia è quella più frequente per questo soggetto, con Eirene che porta in braccio Pluto, dio della ricchezza. La statua ebbe talmente successo da essere posta sull’Agorà di Atene e raffigurate su monete dell’epoca. In altre rappresentazioni di questo soggetto, la dea regge con le mani una cornucopia o un ramoscello d’olivo, simboli di prosperità e pace. Insomma, i nostri maestri di civiltà avevano intuito che la pace fosse condizione fondamentale per la prosperità, la ricchezza e il benessere dei popoli. Peccato che nella società moderna questo concetto sia tanto disatteso. Disatteso da noi che spendiamo cifre esorbitanti per una folle corsa agli armamenti, utile solo agli interessi dell’ industria bellica, togliendo risorse alla cultura e al suo mantenimento, lasciando così cadere a pezzi statue e significati di un mondo ormai sempre più lontano.

Simone Salvi