Tag: Simone Salvi blog ilperiscopio.info
Cosa daremmo per avere gli occhi di Leonardo Bruni
‘Dilettossi di musica e di suoni, e di sua mano egregiamente disegnava; fu ancora scrittore perfetto, ed era la lettera sua magra e lunga e molto corretta, secondo io ho veduto in alcune epistole di sua mano propria scritte.’ Leonardo Bruni, Vita di Dante, 1436
Il dipinto di Giotto che probabilmente Dante vide
Poesia giovanile di Caproni, dal gusto quasi ‘cardarelliano’.
Conferenza di Alessandro Barbero sull’importanza del mare nella storia d’Italia
La Vergine del mare
Pittore talvolta fin troppo calligrafico ma indubbiamente gigantesco. È stato tra i primi a introdurre la dimensione paesaggistica nella pittura sacra e a mio avviso uno dei più grandi autori di marine del Rinascimento: basti guardare la tempesta sul mare nella scena della partenza di Enea Silvio Piccolomini alla volta del Concilio di Basilea nello splendido ciclo della Libreria Piccolomini, nella quale peraltro si ammira uno dei più vertiginosi e struggenti tramonti marini della storia dell’arte.
Federico Zeri attribuì il dipinto qua sotto a una ignota mano umbra; a partire dalla fine degli anni Novanta è quasi unanimemente considerato di mano del Pinturicchio.
BERNARDINO DI BETTO, detto PINTURICCHIO
MADONNA COL BAMBINO BENEDICENTE, nota anche come LA VERGINE DEL MARE
fine del 1400
olio su tavola
Fondazione Sorgente Group, Roma
G. Caproni, Vini ligustici
Questo libriccino in trentaduesimo edito dalla napoletana Libreria Dante & Descartes raccoglie lo scritto apparso in I vini d’Italia di L. Veronelli del 1961 al quale Caproni affida alcuni consigli al turista che in visita a Genova desideri degustare i vini locali; vini ligustici (liguri), appunto. Non prima di dispensare alcune avvertenze all’avventore, affinché “non s’accosti al classico bancone di legno barcaiolo e di zinco, novantanove volte su cento lucido d’ottoni e verniciato a forti tinte come un rimorchiatore, per dire al cambusiere: «mi dia un bicchiere di vino», usando la bella lingua di Dante” ma bensì “dica la stessa cosa in turco, in catanese, in lapponese, in slang” o che “almeno abbia l’accortezza di sostituire alla parola bicchiere la parola gotto senza troppa insistenza sulla doppia Ti”. Le sessantaquattro pagine testimoniano l’allora giovane poeta fine conoscitore e recensore di vini, come quando descrive il bianco di Coronata, “paglierino chiaro, tutto odoroso di zafferano e di cedro” e “un arrubinato gotto di Canavisse, rarissimo perché prodotto col contagocce soltanto nella contrada Ellera di Albisola superiore”, passando per il “biondo Sciacchetrà”. Conclude suggerendo consigli di abbinamento tra cibo e vini locali. Davvero una piacevole e sapida lettura, che restituisce un Caproni pochissimo conosciuto ma sempre grandissimo.
Simone Salvi