Nel XXXIII del Paradiso Dante si trova nell’Empireo, dove grazie alla preghiera di San Bernardo alla Vergine e alla di lei intercessione, è finalmente pronto alla visione di Dio. Il Poeta ammette l’insufficienza della sua lingua a descrivere tale ineffabile visione (“Da quinci innanzi il mio veder fu maggio/ che ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede,/e cede la memoria a tanto oltraggio. Par.XXXIII, vv. 55-57). Dio appare al Poeta pellegrino come un punto luminoso (luce etterna, ivi, v. 83) nel cui vede racchiuso tutto l’Universo. Nel descrivere questa visione Dante crea una delle sue più celebri terzine e sicuramente una delle più alte -forse la più alta?- e compiute descrizioni della visione di Dio della letteratura di ogni tempo; nella profondità della luce divina egli vede, legato come fogli in unico volume, tutto ciò che per l’Universo a noi appare sparso:
“Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna.”
(Paradiso XXXIII, vv. 85- 87)
Simone Salvi