Dall’articolo di Nicola Maranesi “Giuseppe, emigrato dalla Sicilia a Prato alla ricerca di dignità e diritti”, pagg. 22-23, Il Tirreno del 7 aprile 2019

DIARIO DI GIUSEPPE SPARACINO (2003)

dall’Archivio Diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano (Arezzo)

«Voi non ci crederete- diceva Sparacino- ma io ho lasciato la mia Sicilia, il mio dialetto, i miei amici, i miei parenti per passare da oggetto a soggetto; c’è una semplicissima “S” di mezzo. Come facevo, allora, a spiegare a mia madre, che emigravo per una “S”? E non per andare a fare fortuna? Che il problema non era accumulare un gruzzoletto, era fonte di sicurezza, di vita e di certezza basilare? Tutto questo avveniva nel 1960. E ora? E ora? Nelle baracche dove sono ammassati i nuovi emigrati, di tutte le razze e colori, che cosa succede? Come vivono? Di che cosa hanno riempito la loro valigia? I loro parenti, i loro amici saranno andati a salutarli al torpedone? Le loro mamme avranno pianto, il pianto straziante della separazione dai loro figli? Il loro viaggio sarà stato disperato tra i disperati’? A mio modo di vedere… la naturale aspirazione dell’uomo a cercare spazio di sopravvivenza umana e civile non ha epoche, prima si capirà, e prima vivremo meglio nel nuovo contesto di globalizzazione, dove il mondo diventa sempre più piccolo e l’uomo sempre più cosciente di essere uomo. Qual è, mi domando, la differenza tra la mia emigrazione, tra l’emigrazione dei ventisette milioni di emigranti italiani del secolo scorso e gli attuali emigranti dalla Nigeria o da qualsiasi altro angolo della terra? Non c’è nessuna differenza! L’unico denominatore comune è: la fame, l’emancipazione, i diritti; i diritti, che dovrebbero essere, sempre, di tutti e mai privilegi di pochi. La differenza è solo temporale: i carri bestiame di allora si equivalgono con le carrette del mare di adesso. Le ingiurie, i modelli di accoglienza sono uguali e gli immigrati di oggi sono uguali agli immigrati italiani nel mondo di trenta, cinquanta o ottant’anni or sono e…saranno uguali a tutti coloro che emigreranno per fame e per sete. Che ci piaccia o no, finché non sarà soddisfatta la fame e la sete dei paesi più poveri, con qualsiasi mezzo legale o illegale, a rischio della vita, con arroganza o con umiltà ci sarà sempre gente che cercherà di venire a raccogliere le briciole del nostro spreco e a bere l’acqua delle nostre fontane.»