Dante, Boccaccio e…. Landini

Certamente è scorretto ed evoca dialoghi tra il Ragionier Fantozzi e il suo collega Filini, il ripetuto scivolare sul congiuntivo da parte del neo eletto Segretario della CGIL Maurizio Landini, ospite qualche sera fa alla trasmissione Piazzapulita. Ed è oggi scorretto in base a quella che i linguisti chiamano “norma“. Secondo la definizione del professor Claudio Giovanardi, docente di Storia della lingua italiana presso l’Università Roma Tre, riportata sull’Enciclopedia Treccani online, possiamo considerare la norma “come un insieme di regole, che riguardano tutti i livelli della lingua (fonologia, morfologia, sintassi, lessico, testualità), accettato da una comunità di parlanti e scriventi (o per lo meno dalla stragrande maggioranza) in un determinato periodo e contesto storico-culturale.”. Dalla definizione si comprende facilmente come la lingua sia un’entità mutevole e che i cambiamenti ai quali è soggetta si manifestano nei suoi vari livelli: fonetico, morfologico, sintattico e lessicale. Dante, nella sua Commedia, arieggiando un passo dall’Ars Poetica di Orazio, descrive la mutevolezza della lingua per bocca di Adamo nel XXVI del Paradiso ( “ché l’uso d’i mortali è come fronda in ramo, che sen va e altra vene.” Par. XXVI, 137-138, ripresa da Orazio “Ut silvae foliis pronos mutantur in annos, prima cadunt, ita verborum vetus interit aetas, et iuvenum ritu florent modo nata vigentque.”  Ars Poetica, Libro I, vv. 60-63). Analizzando uno dei più celebri sonetti del Poeta padre della lingua italiana, “Tanto gentile e tanto onesta pare” contenuto nella Vita Nova, ci rendiamo conto di come alcune delle parole chiave del componimento, la gran parte delle quali ancora oggi in uso, avevano all’epoca della composizione un significato piuttosto distante da quello odierno e talvolta opposto.

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova:

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: sospira.

Prendiamo in considerazione quattro parole della prima strofa: gentile, onesta, pare, donna ed una dall’ultima, labbia. Gentile, la cui accezione contemporanea non occorre chiarire, può essere qua intesa come nobile d’animo, attributo irrinunciabile della donna per i poeti stilnovisti. Il valore semantico di onesta sta nel significato latino della parola, ossia decorosa (dal latino honos). Pare, che oggi intenderemmo come “sembra“, sta invece per è, ed è questo un esempio particolarmente significativo al fine del contenuto della poesia, perché risulta evidente che se intendessimo pare per sembra, l’idea che ci faremmo della donna qui cantata sarebbe ben diversa, potendo essere inteso come dubbio sulla sua effettiva gentilezza ed onestà e per questo quasi offensivo. Anche donna va inteso secondo il significato latino (da domina, signora) e infine labbia, non indicava allora le labbra ma l’intero volto.  Leggendo la Commedia troviamo la parola noia in una domanda che Virgilio pone a Dante (ma tu perché ritorni a tanta noia? Inf. I, v.76) il cui significato, in base all’origine provenzale della parola è tormento, tedio.  Nel Canto XXI dell’Inferno Dante incontra i papi simoniaci e li apostrofa con “or convien che per voi suoni la tromba“, con uso di convenire con valore di necessario anziché di vantaggio come lo intenderemmo oggi. Nella quarta novella della terza giornata del Decamerone di Giovanni Boccaccio si legge “mi par che tu vadi per una lunga via“. Oggi redarguiremmo il nostro interlocutore e l’insegnante segnerebbe in rosso quel vadi, mentre all’epoca era in uso.

Con questo non vogliamo giustificare l’errore linguistico del buon Landini ma solo instillare curiosità verso la conoscenza della nostra bella lingua a partire dai suoi aspetti diacronici. Gli esempi sono davvero numerosi, impossibili da esaurire sulle pagine di un blog; per questo motivo ai nostri lettori che volessero approfondire l’evoluzione della lingua italiana nel corso dei secoli segnaliamo due preziosi saggi che trattano con ampiezza l’argomento: Luca Serianni, Prima lezione di storia della lingua italiana, Bari, Laterza, 2015 e Giuseppe Patota, La grande bellezza dell’italiano, Dante, Petrarca e Boccaccio, Bari, Laterza, 2015

Simone Salvi

https://www.lettera43.it/it/video/landini-piazza-pulita-congiuntivo-vadi/36069/

G. Patota, “La grande bellezza dell’italiano- Il Rinascimento”

Il nuovo libro del Professor Giuseppe Patota “La grande bellezza dell’italiano- Il Rinascimento” è in libreria. Splendida la dedica, che condividiamo toto corde:

“Ai migranti arrivati fra noi

con l’augurio che imparino presto 

questa lingua di pace e bellezza.”