Incipit di Paradiso XXXIII

“Vergine Madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta più che creatura,

termine fisso d’etterno consiglio,” (Par., I 1-3)

Con questi versi si apre l’ultimo canto della Commedia, il trentatreesimo del Paradiso. Sono tra i pochi versi della Cantica che anche il lettore che ha meno consuetudine con il poema ricordi a memoria. A pronunciarli è San Bernardo, che con una preghiera estesa per ben trentanove versi, invoca l’intercessione di Maria presso Dio affinché a Dante sia concessa la visione dell’Altissimo. Analizziamo verso per verso questa celebre terzina, nella quale la grandissima dantista Anna Maria Chiavacci Leonardi ha colto quella “forza di sintesi e purezza di ritmo che sono peculiari del genio dantesco” e che ovviamente riscontriamo in tutta la Commedia.

“Vergine Madre, figlia del tuo figlio”: forse la più bella e icastica definizione della Vergine, che è appunto vergine, ma al contempo madre e figlia di colui del quale è madre, cioè di Dio. La figura di Maria è costruita per antitesi che ne illustrano in modo efficace l’essenza.

“umile e alta più che creatura”: “col secondo verso quella eccezionale realtà si fa persona concreta”, scrive ancora Chiavacci Leonardi. Maria è descritta come una creatura tra le altre ma più di ogni altra umile e alta. La derivazione di umile, qui usato secondo la sua pura etimologia latina, cioè da “humus”terra, è da cercare nel Magnificat, il canto intonato dalla Vergine a Dio in occasione della visita della cugina Elisabetta (Luca 1, 48) in cui si legge “quia respexit humilitatem ancillae suae” (perché ha guardato- Dio- l’umiltà della sua serva).

“termine fisso d’etterno consiglio”: termine stabilito nel tempo dalla Provvidenza per il compiersi dell’umana salvezza. Con la nascita di Gesù, uomo e dunque entrato nel tempo, Dio le affida il cambiamento del mondo.

Ascoltiamo il canto letto dal grande Roberto Benigni.