Circa la proposta di trasferimento delle spoglie di Dante da Ravenna a Firenze, in occasione delle celebrazioni del settimo anniversario della morte del Poeta, leggiamo in questi giorni varie prese di posizione. Tra le motivazioni portate da coloro che sono contrari a tale operazione occorrono però, e con particolare frequenza, alcuni errori che risultano evidenti alla luce della conoscenza delle vicende biografiche del maggior poeta italiano e di quelle relative alla composizione di alcune sue opere. Segnatamente si riporta che Dante non avrebbe mai voluto tornare, neppure dopo la morte, nella sua Firenze, città che quando lui ancora in vita lo condannò a morte e lo costrinse al noto esilio. Nell’articolo di cui incollo il link qua sotto, l’ottimo Tomaso Montanari, in una voce che forse indugia fin troppo sulla polemica politica in un contesto in cui non è così stringente, riporta il celebre passo del Convivio nel quale il Poeta descrive la sua condizione di “peregrino” esule, che a causa della fuga da Firenze lo costringe alla “dolorosa povertade”, e che proprio per questo dato biografico faremmo l’ennesimo torto a Dante portando oggi i suoi resti nella propria città natale. Evidentamente però Montanari, e con lui molti altri, trascura un decisivo passo della Commedia, in apertura di Paradiso XXV, nel quale il padre della lingua italiana spera, una volta placate le faziosità che lo costrinsero all’esilio, di tornare a Firenze ed essere incoronato Poeta nel Battistero di San Giovanni, dove fanciullo fu battezzato. Certamente si assiste ad un cambio di pensiero, e soprattutto alla manifestazione di una speranza, rispetto a quanto affermato nel Convivio ed anche in contrasto alle invettive e alle parole di disprezzo che Dante, anche nella Commedia, rivolge a Fiorenza. Ma occorre notare che con buona probabilità almeno dieci anni separano la scrittura del Convivio, avviata probabilmente all’inizio dell’esilio (1303- 1306), e la conclusione del Paradiso, le cui coordinate compositive lo collocano tra il 1315 e il 1321. Ecco i versi, commoventi e colmi di speranza, da Paradiso XXV:
“Se mai continga che ‘l poema sacro
al quale ha posto mano e cielo e terra,
sì che m’ ha fatto per molti anni macro,
vinca la crudeltà che fuor mi serra
dal bello ovile ov’io dormì agnello,
nimico ai lupi che li danno guerra;
con altra voce omai, con altro vello
ritornerò poeta, e in sul fonte
del mio battesmo prenderò ‘l cappello;” (Par. XXV, I-IX)
Simone Salvi