Nulla è semplice nella Commedia: ogni terzina, certe volte ogni verso, sottendono rimandi a contesti filosofici, teologici, mitologici, astronomici. Poi vi è il valore figurato di molti passi a rendere ancora più complessa la lettura: basti pensare che nella intera Commedia si contano poco meno di cinquecento similitudini. Prendiamo i versi che seguono: in filologia è particolarmente noto, per esempio, il verso 60. I commentatori, sulla base degli oltre ottocento manoscritti (è bene ricordare che non abbiamo nulla, nemmeno una lettera, che sia autografa di Dante), si sono chiesti e si chiedono se il Poeta abbia scritto “quanto ‘l mondo lontana” o “quanto ‘l moto lontana”.
Eppure è evidente che alcuni versi di questa sommo capolavoro della letteratura mondiale risultino BELLI (perdonatemi il maiuscolo e l’aggettivo tanto abusato) anche a fronte di una lettura epidermica. Del resto lo dimostra il fatto che fin dai primi anni successivi alle prime pubblicazioni dell’opera anche la popolazione analfabeta ne conosceva passi a memoria. E badate bene, cari amici, che questa tradizione si è continuata nel nostro Paese almeno fino alla metà del secolo scorso.
“Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella:
“O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto ’l mondo lontana,
l’amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che vòlt’è per paura;
e temo che non sia già sì smarrito,
ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.”
Inferno, II 55-66