Uno sguardo a uno dei momenti più alti del Purgatorio

Dopo il commosso incontro di Dante e Virgilio con Stazio avvenuto nel canto XXI del Purgatorio, una parte importante del canto XXII è dedicata al racconto dell’avvio all’attività poetica e della conversione al cristianesimo da parte del poeta latino, che ha appena terminato il suo periodo di espiazione ed è dunque pronto a salire al Paradiso. Proprio in questa narrazione, svolta in forma di dialogo tra Virgilio e Stazio, incontriamo alcuni dei versi più alti della cantica e di tutto il poema, che racchiudono inoltre in sé uno dei temi centrali del Purgatorio, ovvero la salvezza raggiunta tramite la fede.

Riportiamo questo passaggio, fatto di terzine celebri e grandissime:

“Se così è, qual sole o quai candele

ti stenebraron sì, che tu drizzasti

poscia di retro al pescator le vele?”.

Ed elli a lui: “Tu prima m’invïasti

verso Parnaso a ber ne le sue grotte,

e prima appresso Dio m’alluminasti.66

Facesti come quei che va di notte,

che porta il lume dietro e sé non giova,

ma dopo sé fa le persone dotte,

quando dicesti: ’Secol si rinova;

torna giustizia e primo tempo umano,

e progenïe scende da ciel nova’.

Per te poeta fui, per te cristiano:”

(Purg., XXII 61-73)

Prima di parafrasarle e spiegarne il contenuto dobbiamo richiamare un concetto, certamente ovvio ma importantissimo: a scrivere è Dante e spesso Dante, durante tutto l’arco della Commedia, affida alla voce dei personaggi incontrati l’esposizione di posizioni e idee personali. Questo accade con particolare frequenza e intensità proprio nel Purgatorio, che, sarà utile ricordare, è la cantica nella quale il Poeta incontra molti conoscenti e amici della Firenze in cui visse fino all’esilio avvenuto nel 1302. Nei versi che stiamo commentando questa identificazione, seppur implicita, tra Dante autore e anima incontrata, acquista particolare rilievo, tanto da farci accorgere che qui “Stazio parla come Dante, egli parla in realtà per Dante. […] e sembra [Dante] qui citare sé stesso”, come giustamente notò la compianta dantista Anna Maria Chiavacci Leonardi nel suo commento alla Commedia per Mondadori.

“Quale lume, celeste (grazia divina) o terrestre (parola umana) ti tolsero dalle tenebre così che decidesti di convertirti al cristianesimo?” – chiede Virgilio a Stazio. Si noti che stenebrare è una tipica coniazione lessicale dantesca; mentre il pescatore è San Pietro, indicato da Gesù come pescatore di uomini. Stazio risponde che Virgilio lo avviò allo stesso tempo alla poesia (il Parnaso è il monte sul quale secondo la mitologia risiedevano le Muse) e verso Dio. Il verso successivo richiama l’immagine, diffusa già nel mondo antico e ancora viva nel Medioevo, del lampadoforo, il servo che con la lanterna precedeva nel cammino notturno il padrone illuminandogli la strada. Dunque Stazio sta dicendo a Virgilio che con la sua opera poetica era stato sia maestro nell’arte della poesia sia promotore di conversione religiosa. A questo punto Dante inserisce nel testo una traduzione pressoché letterale di un passo della quarta egloga, la più celebre delle composizioni bucoliche di Virgilio: “Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo / iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna; / iam nova progenies caelo demittitur alto” (Ecl. IV 5-7) : “Una grande serie di secoli ricomincia di nuovo: ritorna la vergine Astrea, ritorna il regno di Saturno; dall’alto del cielo discende una nuova progenie”. Virgilio, interpretando il diffuso sentimento millenaristico che caratterizzava l’età di Augusto, un sentimento di attesa di nuovi tempi felici, canta della nascita di un puer (un bambino, molto probabilmente da identificare in un rampollo della cerchia di Ottaviano) che porterà una nuova età dell’oro; fu facile per i cristiani applicare questi versi all’annuncio dell’avvento del loro Messia (Gesù). Ritroviamo questa interpretazione in significativi esponenti del Cristianesimo, a partire da Costantino (citato dal suo biografo Eusebio), passando per Sant’Agostino fino ad alcuni più vicini a Dante, come Papa Innocenzo III. Prosegue Stazio dicendo che grazie (per te) a Virgilio divenne poeta e cristiano. Forse è questo il verso centrale di questo bellissimo passo, con il quale Dante, per bocca di Stazio, omaggia il maestro Virgilio. E il rimando più evidente è ai versi di Inferno I, dove Dante, questa volta personaggio, dice direttamente a Virgilio, seppur con parole diverse, quanto per lui fu egli maestro:

“Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,

tu se’ solo colui da cu’ io tolsi

lo bello stilo che m’ ha fatto onore.”

(Inf., I 85-87)

 

Simone Salvi