Un’invettiva alle soglie dell’Empireo

Le invettive di Dante punteggiano la Commedia e si trovano in tutte e tre le cantiche. Il luogo dell’opera in cui sono più numerose, come possiamo facilmente intuire, è l’Inferno, dove esse sono espresse sia tramite la voce del Poeta sia per voce di alcuni personaggi. Tra le invettive pronunciate da Dante per voce propria, che sono probabilmente le più note anche al pubblico di non specialisti, si trovano quelle che investono le principali città toscane, che assumono talvolta la forma del dialogo, talvolta costituiscono un intervento diretto di Dante autore nel corso dell’opera. Restando nell’Inferno basti pensare all’apostrofe  verso Pistoia (“Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi d’incenerarti sì che più non duri,poi che ‘n mal fare il seme tuo avanzi?” Inf., XXV 10-12) e a quella celebre verso Pisa (“Ahi Pisa, vituperio de le genti del bel paese là dove ‘l sì suona, poi che i vicini a te punir son lenti, muovasi la Capraia e la Gorgona, e faccian siepe ad Arno in su la foce, sì ch’elli annieghi in te ogne persona” Inf., XXXIII 79-84), ma non sono risparmiate Firenze, Siena e Genova. Le invettive non rivestono particolare rilevanza nel Purgatorio, dove le anime purganti “sono infatti in genere miti, come attenuati nelle passioni, che pure ancora affiorano in loro, ma come fuochi ormai spenti. E la loro attenzione primaria è rivolta alla purificazione, alla richiesta di preghiere, mentre i ricordi della terra appaiono – anche negli offesi, come Manfredi, come il Visconti – in una luce di distacco.”, come scrive la compianta Anna Maria Chiavacci Leonardi nel suo commento mondadoriano alla Commedia. Una però conviene ricordarla, fosse solo perché rappresenta una delle tante formule dantesche entrate nell’uso comune ed evocata con valore polemico nei confronti dell’Italia quando qualcosa non funziona come dovrebbe: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!”(Purg., VI 76-78), esclama Dante riferendosi alle guerre tra Comuni o tra fazioni diverse nello stesso Comune che imperversano nell’Italia del suo tempo. Ciò che può apparire più curiosa e inaspettata è la presenza di invettive, tra l’altro piuttosto esplicite e potenti, nel Paradiso. Mi soffermo su una di queste perché si colloca verso la fine della Cantica e quindi verso la conclusione del Poema, che topograficamente corrisponde al nono e penultimo cielo, il Primo Mobile. Alle soglie dell’Empireo, dunque in un luogo in cui davvero non ce lo aspetteremmo, Beatrice irrompe in una apostrofe verso i falsi predicatori,  “per cui tanta stoltezza in terra crebbe, che, sanza prova d’alcun testimonio, ad ogne promession si correrebbe.” (Par., XXIX 121-123), rivolgendosi in particolare all’ordine religioso degli antoniani con parole che risuonano durissime:  “Di questo ingrassa il porco sant’ Antonio, e altri assai che sono ancor più porci,” (ivi 124-125). Il riferimento ai porci è duplice: da un lato rimanda all’iconografia tipica di Sant’Antonio Abate, uno dei padri del monachesimo, che viene spesso raffigurato con un porco ai piedi, simbolo del diavolo  da lui ripetutamente sconfitto; da l’altro al fatto che i monaci antoniani solevano allevare porci nei loro conventi. Dunque i monaci si arricchivano con le false prediche e ciò permetteva loro sia di nutrire i loro porci sia le persone da loro mantenute (altri assai), quali concubine e figli naturali. Certamente sorprende ascoltare la purissima Beatrice, soprattutto in quel luogo così elevato e ormai celestiale, che si esprime con una parola, porci, ancora oggi di registro basso e con connotazione tipicamente negativa peraltro reiterandola. Tuttavia mette conto notare che è questa l’escursione stilistica e lessicale che caratterizza tutta la Commedia e che ne esplicita il titolo: Commedia, o meglio Comedia, come la chiama Dante, allude a quella precisa scelta stilistica che oscilla tra lo stile tragico, ovvero alto e solenne, e quello comico, cioè basso e umile.

Simone Salvi

L’ottimo Luigi Spagnolo, prendendo le mosse da un verso di Inferno XXXIV, lumeggia un tema, quello della scansione temporale, tanto importante nella Commedia.

http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/parole/mezza_terza.html?fbclid=IwAR1hYPSClv7_NV-vZi7L4nZGthCRWoPO7TfjolEAK4a_kKBNB_Pro-wkGA8

 Fra gli artisti figurativi Dante cita nella Commedia Cimabue, Giotto e Oderisi da Gubbio.

Ogni volta che mi càpitano davanti agli occhi dipinti come questo qua sotto, così come per molti altri, mi chiedo cosa Dante avrebbe scritto di questi artisti. E questo varrebbe non solo per l’ambito figurativo: in un celebre episodio ad inizio di Purgatorio (II) il Poeta e i purganti si fermano ad ascoltare ammaliati il canto di Casella e per questo vengono redarguiti da Catone. Pensate se Dante fosse succeduto a Bach. O a Beethoven. O a Mozart.

REMBRANDT
Festino di Baldassarre
olio su tela
1636