Altro che lapsus

Sigmund Freud nel suo saggio “Psicopatologia della vita quotidiana”, pubblicato nella sua prima edizione del 1901, considera i “lapsus” non come una distrazione o un errore ma come l’emergere dell’inconscio che continuamente lotta contro la nostra consapevolezza per affermarsi.
Dunque, in base alla teoria psicoanalitica, il candidato Attilio Fontana è fortemente convinto dell’esistenza della razza e della messa a rischio di quella bianca da parte degli immigrati di colore.
Altro che lapsus.

http://www.lastampa.it/2018/01/15/multimedia/italia/politica/fontana-dopo-la-frase-razzista-un-lapsus-jfqCbHla3UQ2C1L6dbUazJ/pagina.html

Bassa Tv

Alberto Angela nella puntata del suo “Meraviglie, La Penisola dei tesori” trasmesso da Raiuno ieri sera parla del ciclo di affreschi della Basilica Superiore di Assisi come opera di Giotto. Già dagli anni Settanta l’attribuzione a Giotto di tali affreschi è dibattuta da storici dell’arte della statura intellettuale di Federico Zeri, Bruno Zanardi e Luciano Bellosi. I dubbi sulla paternità giottesca del ciclo con le Storie di San Francesco sono sempre più incisivi, a favore di Pietro Cavallini e della Scuola Romana.
Insomma, ieri sera abbiamo assistito all’ennesimo esempio del diffuso basso livello della comunicazione culturale in tv nel nostro Paese.
L’amico, geologo e con me curatore di questo blog, Mariano, qualche tempo fa in una documentario televisivo in cui si parlava dell’origine geologica della Sardegna ha sentito nominare la “Tirrenide”, un’entita geologica la cui passata esistenza è da anni messa in seria discussione dalla comunità scientifica. Trasmissioni che trattano questi temi dovrebbero prevedere l’esistenza di comitati scientifici seri in redazione.
E quando una trasmissione è seguita da quasi sei milioni di telespettatori, il danno è grosso.

Simone Salvi

Amnesia globalizzata

In Europa, dove i migranti sono il capro espiatorio quasi di ogni problema, alla “globalizzazione dell’indifferenza” già denunciata da Papa Francesco a Lampedusa nel 2013, si sta aggiungendo, in particolare nel comportamento verso queste persone da parte di Paesi quali Austria, Ungheria e Polonia, un’amnesia globalizzata verso la Storia.

“Bilancio di fine Legislatura, o Breve storia triste della recente Italia”

Siamo giunti al termine della diciassettesima legislatura della Repubblica Italiana. Pochi sono gli aspetti rilevanti da segnalare. Il Rottamatore Matteo Renzi  e in seguito il suo alter ego Paolo Gentiloni, sedicenti sinistrorsi, sono riusciti a rottamare veramente solo la sinistra stessa. A inizio del mandato il democristiano Renzi qualcosa di sinistra ha dovuto pur farlo, ed ecco la legge sulle Unioni Civili, strumentalizzata a fini politici e spesso rivendicata dai suoi autori quando accusati di non aver fatto niente di sinistra. Più semplicemente, si è trattato di un atto di civiltà ridotto a oggetto di discussione e divisione politica. Poi la barra del timone del Governo è stata deviata verso destra e avanti tutta lungo questa rotta. Il Presidente del Consiglio di questo Governo che solo sulla carta si è dimostrato di centrosinistra, ha stretto  alleanza al Largo del Nazareno col compare Silvio. Il patto sarà poi sciolto ma le amicizie che questo suggellarono resteranno e si rafforzeranno. La cosiddetta “Buona Scuola” e il “Jobs Act”  hanno rispettivamente abbassato il livello dell’Istruzione e aumentato la precarietà. Con i Sindacati è sempre stato scontro. La valorizzazione dell’immenso patrimonio storico-artistico del nostro Paese è stato mal gestito,  quando non svilito, da uno dei più nefasti Ministri dei Beni Culturali del Belpaese. Un Paese talmente intriso di cultura che risolverebbe gran parte dei suoi problemi economici e di bilancio valorizzando e diffondendo la stessa. Poi davanti al crescente fenomeno migratorio, obbedendo all’ideologia secondo la quale i migranti sono il capro espiatorio dei nostri giorni e rafforzando il legame con la destra, attraverso le disposizioni dello sceriffo Minniti il Governo ha contribuito ad impedire alle ONG di svolgere il loro compito, salvare vite, facendo di sospetti infondati e negati da una Commissione apposita istituita dal Senato stesso, una certezza di reato. Mentre il populista Salvini gridava “prima gli italiani”, il Governo ha speso milioni di euro per creare e mantenere i campi di concentramento per migranti, definiti dall’ONU “campi di morte”, facendo affari (rectius: pagando) con gli ex trafficanti di uomini che si sono trasformati in secondini. Ma le partenze dalla Libia tornano ad aumentare, così che i secondini tornano al vecchio ruolo.  Avviandosi verso fine legislatura  i nostri, chiedendo la fiducia senza almeno una parvenza di vergogna che avrebbero dovuto provare dati i precedenti casi, varano una legge elettorale abominevole che renderà necessaria un’alleanza tra partiti alle prossime elezioni di Marzo. Al nostro sventurato Paese resta solo da gioire per aver impedito ai signori qua sopra di scardinare gran parte della nostra bella Costituzione, pur senza negare che una snellita in alcuni punti sarebbe pur necessaria. Per il resto, le possibilità di vedere approvata la legge più importante per cui questo Governo avrebbe dovuto battersi con tutte le sue forze, lo Ius soli,  con i risultati delle prossime elezioni che probabilmente sanciranno un Governo di centrodestra o comunque con importante presenza di questo, si scioglieranno come neve al sole di Marzo .

Simone Salvi

“L’obbedienza non è più una virtù”

Non vogliono essere chiamati passeurs perché a differenza di loro non prendono soldi. I sacerdoti delle valli piemontesi che aiutano i nostri fratelli migranti ad arrivare “clandestinamente” in Francia praticano così quella sana disobbedienza all’autorità costituita e alle leggi scritte che si rende necessaria quando sono queste ad essere disobbedienti ad ogni principio di civiltà. Questi eroi moderni, perché tali diventano in una società che vieta alcuni tra i gesti più umani, dare da mangiare, dare da bere, accogliere, perpetuano così quella disobbedienza civile che trova precedenti illustri almeno 2500 anni fa nel mito di Antigone e più vicino ai giorni nostri nell’agire di Don Lorenzo Milani, nel solco del motto di quest’ultimo “l’obbedienza non è più una virtù”.

Simone Salvi

http://torino.repubblica.it/cronaca/2017/08/28/news/in_marcia_coi_migranti_che_valicano_le_alpi_aiutati_dai_preti_passeur-174057567/

 

Buon compleanno, Ludwig van Beethoven

Joseph Karl Stieler, Ritratto di Beethoven con il manoscritto della “Missa Solemnis”, 1820, olio su tela

Il Periscopio è nato dalla profonda amicizia tra i suoi due curatori, cioè Mariano Puxeddu e me. Un’amicizia nata e cresciuta anche nel solco di una comune passione per la musica e per la figura umana di Ludwig van Beethoven. Verso la fine di una calda e soleggiata mattina di estate in anticipo, il 7 giugno del 2014, trovandomi solo nell’enoteca presso cui lavoro, ascoltavo uno dei brani più noti del grande musicista, la Sinfonia n.6,  nota come “Pastorale”. Poco dopo lo stupendo attacco del primo movimento si aprì la porta ed entrò un signore, che  ancor prima di pronunciare la parola “buongiorno”, mi sorrise ed esclamò: “Ah, la Pastorale”. Ed io, non conoscendolo, risposi di getto: ” La conosce?”. Lo sconosciuto rispose: “Certo”. Da quel giorno la nostra amicizia è cresciuta in modo esponenziale, spesso vissuta nell’ascolto commosso delle note di Beethoven e nel solco di una totale comunione di pensieri, passioni, valori e progetti. Il compositore, il cui nome italianizzato è “Ludovico dal Cortile delle Bietole”, discendente di immigrati olandesi come ben si intuisce dal suffisso “ven”, fu battezzato a Bonn il 17 dicembre 1770,  per cui si presume sia nato il 16 Dicembre, 247 anni fa. Dunque oggi, 16 dicembre 2017, si celebra il suo compleanno. Sì, compleanno. Perché Beethoven resterà eterno, almeno “finché il sole risplenderà sulle sciagure umane”, grazie alla sua musica e al suo pensiero. Ecco due esempi di pensiero beethoveniano tratti dai suoi “Quaderni Intimi” (Manoscritto Fischhoff, Berlino): “Dio delle foreste, Dio onnipotente ! Io sono benedetto, io sono felice in questi boschi, dove ogni albero mi fa sentire la sua voce. Che splendore, oh, Signore ! Queste foreste, questi valloni respirano la calma, la pace, la pace di cui abbiamo bisogno per servirti!”. E ancora: “La  Sinfonia pastorale non è un quadro; vi si trovano espresse, in sfumature particolari, le impressioni che l’uomo gusta in campagna”. Prima di lasciarvi all’ascolto del brano che abbiamo scelto consigliamo ai nostri compagni di navigazione di cercare, presso una fornita libreria antiquaria, un’edizione il più possibile completa dell’Epistolario beethoveniano. Le lettere scritte dal compositore ad amici, editori e colleghi, sono tra i documenti più preziosi per comprendere non solo la musica, ma anche il pensiero e i sentimenti di un uomo profondo e sensibile. Una frase ci ha colpito particolarmente: “I miei modelli sono Socrate e Gesù.” Potete dunque immaginare l’emozione di Mariano e mia, che amiamo l’Apologia di Socrate in quanto stupendo inno alla verità, nel leggere questo pensiero del nostro compositore prediletto.

Simone Salvi

Riguardo al brano che sotto vi proponiamo di ascoltare, la “Cavatina, Adagio molto espressivo” del Quartetto op.130, credo che per introdurlo non vi siano parole migliori di quelle che Beethoven scrisse ad un amico violoncellista: “L’ho scritta piangendo nell’estate del 1825.”

 

Ludwig van Beethoven, Quartetto per archi numero 13 in si bemolle maggiore, op. 130

V movimento, “Cavatina, Adagio molto espressivo”  Quartetto Italiano

Ma quale identità nazionale?

Questa riflessione nasce da una frase pronunciata dall’ottimo Maurizio Crozza nella puntata del suo Fratelli di Crozza del 2 Dicembre scorso: “in Italia ai migranti spariamo con gli idranti, ai fascisti diamo i microfoni”. Il duplice riferimento era ai brutali metodi usati dalla Polizia durante lo sgombero dello stabile di via Curtatone a Roma lo scorso 24 Agosto e alla totale indifferenza da parte dello Stato nei confronti dei recenti fatti di Como. Stato che dovrebbe essere in prima linea nel ricordare e nell’affermare che il fascismo non è un’opinione. Un’ideologia basata sull’imposizione e sull’uso della violenza, sia questa fisica che verbale, verso coloro che la pensano diversamente, non è un’opinione ma una violazione del diritto alla libertà di espressione. Diritto sancito dalla nostra bellissima Costituzione. Un testo che, occorre ricordare, non è neutro perché nato dalle ceneri del nazifascismo e della guerra. Un testo che come ci ricordano le bellissime parole del padre costituente Piero Calamandrei è nato “nelle montagne dove caddero i partigiani, nella carceri dove furono imprigionati”. Un testo che è uno stupendo fiore nato dal sangue, dalle riflessione sulla violenza che fu e che ci invita a non ripetere quegli errori. Il soffiare di venti fascisti nel nostro sventurato Paese, ormai con frequenza crescente, trova terreno colturale e si concretizza soprattutto nell’odio verso i nostri fratelli migranti in nome di una ridicola valorizzazione della nostra identità nazionale al grido di “Prima gli italiani”. Ma quale identità nazionale? Quella etrusca o quella greca? Quella araba o quella normanna? O quella longobarda? Quei “quattro ragazzi”, come li ha superficialmente definiti Matteo Salvini, dovrebbero tornare sui libri di storia. E tutti noi dovremmo ricordarci che se c’è un popolo su questa Terra che può veramente parlare di identità nazionale, questo è l’Africa, culla dell’uomo. Africa che noi europei ci siamo spartiti a tavolino nell’ambito di una politica coloniale, depredando Stati e talvolta sterminando le popolazioni locali. Con quale coraggio oggi ci mettiamo sulla bocca la frase “se vengono a casa nostra devono rispettare la nostra cultura”? Noi che non abbiamo avuto alcun rispetto della loro e di loro quando in Eritrea abbiamo usato il gas nervino. A questa osservazione i redivivi fascisti potrebbero rispondere che lo abbiamo fatto in nome della conquista, dell’ampliamento dei nostri domini e che la guerra è guerra. Allora consigliamo loro di rileggersi una poesia di Trilussa  dal titolo “Le formiche e er ragno”, che come molte poesie del poeta romanesco è ancora oggi attuale.

“Un gruppo de Formiche,
doppo tanto lavoro,
doppo tante fatiche,
s’ereno fatte la casetta loro
all’ombra der grispigno e de l’ortiche:
una casetta commoda e sicura
incanalata drent’a una fessura.

Ècchete che un ber giorno
un Ragno de lì intorno,
che viveva in un bucio troppo stretto,
vidde la casa e ce pijò possesso
senza nemmanco chièdeje er permesso.

— Formiche mie, — je disse co’ le bone —
quello che sta qui drento è tutto mio:
fateme largo e subbito! Er padrone
d’ora in avanti nun sarò che io;
però m’accorderò cór vostro Dio
e ve rispetterò la religgione. —

Ma allora una Formica de coraggio
incominciò a strillà: — Che propotenza!
Questo è un vero sopruso! Un brigantaggio!
Perché nun è né giusto né legale… —

Er Ragno disse: — Forse, a l’apparenza:
ma, in fonno, è ‘na conquista coloniale.”

 

Ah, in riferimento ai fatti di Como persino il vecchio Umberto Bossi si è dissociato da quelle persone redarguendo il suo compagno di partito Salvini. Certo che se ci troviamo a dover dar ragione a Bossi, siamo messi davvero male.

 

Simone Salvi

Statua di Eirene

Mentre in gran parte dei Paesi di questo sventurato pianeta aumentano di anno in anno le spese militari, facciamo un balzo indietro di 2500 anni, con il pensiero e con lo sguardo, all’antica Grecia. Si è soliti affermare, a ragione, che la civiltà greca antica fu l’incubatrice della civiltà stessa. Letterati quali Omero, che pure il Sommo Dante Alighieri definisce “poeta sovrano”, scultori quali Fidia e Prassitele, pensatori quali Socrate, Platone, Aristotele, e molti altri personaggi nei loro diversi ambiti, hanno piantato i semi della civiltà. Semi che spesso hanno germinato dando frutti che esistono, o almeno resistono, ancora oggi. Tra le idee sviluppate in quella fucina del pensiero umano vi fu quella della corrispondenza tra pace e ricchezza, dunque tra pace e benessere della popolazione. La pace era un’idea tanto importante che i greci antichi le dedicarono una dea, di nome Eirene. Dalla traduzione dal greco antico all’italiano, deriva uno dei nomi femminili più belli e ricchi di significato ancora oggi diffuso, Irene, cioè pace. Nella mitologia classica Eirene era una delle Ore, figlia di Zeus e Temi e sorella di Eunomìa e Dike. Anche quest’ultime assunte a ruoli importanti, rispettivamente, quelli di dea dell’ordine e dea della giustizia. Insomma, una triade importante. A partire dal V secolo a.C., il “secolo d’oro” della Grecia antica e di Atene in particolare, numerose sono state le rappresentazioni di Eirene in scultura. Una delle più celebri e incantevoli è quella realizzata nel IV secolo dal grande scultore Cefisodoto Il Vecchio, capostipite di una famiglia di eccellenti scultori e probabilmente padre del più noto Prassitele. Come di molte statue greche di quel periodo ne è giunta a noi in ottime condizioni una copia romana, di autore ignoto, conservata oggi nella Gliptoteca di Monaco di Baviera. L’iconografia è quella più frequente per questo soggetto, con Eirene che porta in braccio Pluto, dio della ricchezza. La statua ebbe talmente successo da essere posta sull’Agorà di Atene e raffigurate su monete dell’epoca. In altre rappresentazioni di questo soggetto, la dea regge con le mani una cornucopia o un ramoscello d’olivo, simboli di prosperità e pace. Insomma, i nostri maestri di civiltà avevano intuito che la pace fosse condizione fondamentale per la prosperità, la ricchezza e il benessere dei popoli. Peccato che nella società moderna questo concetto sia tanto disatteso. Disatteso da noi che spendiamo cifre esorbitanti per una folle corsa agli armamenti, utile solo agli interessi dell’ industria bellica, togliendo risorse alla cultura e al suo mantenimento, lasciando così cadere a pezzi statue e significati di un mondo ormai sempre più lontano.

Simone Salvi