“L’affare de la razza”, scritta da Trilussa nel 1940, appena due anni dopo l’approvazione delle leggi razziali.

Ciavevo un gatto e lo chiamavo Ajò;
ma, dato ch’era un nome un po’ giudio,
agnedi da un prefetto amico mio
po’ domannaje se potevo o no:
volevo sta’ tranquillo, tantoppiù
ch’ero disposto de chiamallo Ajù.

– Bisognerà studià – disse er prefetto –
la vera provenienza de la madre… –
Dico: – La madre è un’àngora, ma er padre
era siamese e bazzicava er Ghetto;
er gatto mio, però, sarebbe nato
tre mesi doppo a casa der Curato.

– Se veramente ciai ‘ste prove in mano,
– me rispose l’amico – se fa presto.
La posizzione è chiara.:.- E detto questo
firmò una carta e me lo fece ariano.
– Però – me disse – pe’ tranquillità,
è forse mejo che lo chiami Ajà.

La celebre poesia “Er nemico” di Trilussa splendidamente rivisitata in chiave anti- Salvini dal periscopista Mariano Puxeddu.

ER NEMMICO IMMAGINARIO

Er prode Salvini che s’era messo
de guardia a li confini dell’Italia
per mesi e mesi stava a ffà bubbù
contro le ONG come un cane rabbioso
perfino se i migranti eran calati
o morti in fondo ar mare,
accolti, non da lui, da Belzebù.
Vedendo ciò una giornalista chiese:
“Dimmi perché ti ostini a dar l’allarme,
anche se il pericolo ormai è gnente
e i migranti son solo nelle chiese”.
“È vero, amica mia,
ma il migrante è l’ombra che se crea
per conservà un’idea
e acquisir consenso,
nun c’è mica bisogno che ce sia.

 
Mariano Puxeddu

 

Per utilità del lettore riportiamo anche il testo di Trilussa:

Er nemico, 1919.

Un Cane Lupo, ch’era stato messo
de guardia a li cancelli d’una villa,
tutta la notte stava a fa’ bubbù.
Perfino se la strada era tranquilla
e nun passava un’anima: lo stesso!
Nu’ la finiva più!
Una Cagnola d’un villino accosto
je chiese: – Ma perché sveji la gente
e dài l’allarme quanno nun c’è gnente? –
Dice: – Lo faccio pe’ nun perde er posto.
Der resto, cara mia,
spesso er nemmico è l’ombra che se crea
pe’ conserva’ un’idea:
nun ce mica bisogno che ce sia.

Pare che Trilussa avesse previsto Salvini e i salviniani

Er Nemmico (1919)

Un Cane Lupo, ch’era stato messo
de guardia a li cancelli d’una villa,
tutta la notte stava a fa’ bubbù.
Perfino se la strada era tranquilla
e nun passava un’anima: lo stesso!
Nu’ la finiva più!
Una Cagnola d’un villino accosto
je chiese: – Ma perché sveji la gente
e dài l’allarme quanno nun c’è gnente? –
Dice: – Lo faccio pe’ nun perde er posto.
Der resto, cara mia,
spesso er nemmico è l’ombra che se crea
pe’ conserva’ un’idea:
nun ce mica bisogno che ce sia.

Trilussa, resuscita, te prego

L’elezzione der Presidente (1930)

Un giorno tutti quanti l’animali
Sottomessi ar lavoro
Decisero d’elegge’ un Presidente
Che je guardasse l’interessi loro.

C’era la Societa de li Majali,
La Societa der Toro,
Er Circolo der Basto e de la Soma,
La Lega indipendente

Fra li Somari residenti a Roma,
C’era la Fratellanza
De li Gatti soriani, de li Cani,
De li Cavalli senza vetturini,
La Lega fra le Vacche, Bovi e affini…
Tutti pijorno parte a l’adunanza.

Un Somarello, che pe’ l’ambizzione
De fasse elegge’ s’era messo addosso
La pelle d’un leone,
Disse: – Bestie elettore, io so’ commosso:
La civirtà, la libbertà, er progresso…
Ecco er vero programma che ciò io,
Ch’è l’istesso der popolo! Per cui
Voterete compatti er nome mio… –

Defatti venne eletto propio lui.
Er Somaro, contento, fece un rajo,
E allora solo er popolo bestione
S’accorse de lo sbajo
D’ave’ pijato un ciuccio p’un leone!

– Miffarolo!… Imbrojone!… Buvattaro!…
– Ho pijato possesso,
– Disse allora er Somaro – e nu’ la pianto
Nemmanco si morite d’accidente;
Silenzio! e rispettate er Presidente!

Ma quale identità nazionale?

Questa riflessione nasce da una frase pronunciata dall’ottimo Maurizio Crozza nella puntata del suo Fratelli di Crozza del 2 Dicembre scorso: “in Italia ai migranti spariamo con gli idranti, ai fascisti diamo i microfoni”. Il duplice riferimento era ai brutali metodi usati dalla Polizia durante lo sgombero dello stabile di via Curtatone a Roma lo scorso 24 Agosto e alla totale indifferenza da parte dello Stato nei confronti dei recenti fatti di Como. Stato che dovrebbe essere in prima linea nel ricordare e nell’affermare che il fascismo non è un’opinione. Un’ideologia basata sull’imposizione e sull’uso della violenza, sia questa fisica che verbale, verso coloro che la pensano diversamente, non è un’opinione ma una violazione del diritto alla libertà di espressione. Diritto sancito dalla nostra bellissima Costituzione. Un testo che, occorre ricordare, non è neutro perché nato dalle ceneri del nazifascismo e della guerra. Un testo che come ci ricordano le bellissime parole del padre costituente Piero Calamandrei è nato “nelle montagne dove caddero i partigiani, nella carceri dove furono imprigionati”. Un testo che è uno stupendo fiore nato dal sangue, dalle riflessione sulla violenza che fu e che ci invita a non ripetere quegli errori. Il soffiare di venti fascisti nel nostro sventurato Paese, ormai con frequenza crescente, trova terreno colturale e si concretizza soprattutto nell’odio verso i nostri fratelli migranti in nome di una ridicola valorizzazione della nostra identità nazionale al grido di “Prima gli italiani”. Ma quale identità nazionale? Quella etrusca o quella greca? Quella araba o quella normanna? O quella longobarda? Quei “quattro ragazzi”, come li ha superficialmente definiti Matteo Salvini, dovrebbero tornare sui libri di storia. E tutti noi dovremmo ricordarci che se c’è un popolo su questa Terra che può veramente parlare di identità nazionale, questo è l’Africa, culla dell’uomo. Africa che noi europei ci siamo spartiti a tavolino nell’ambito di una politica coloniale, depredando Stati e talvolta sterminando le popolazioni locali. Con quale coraggio oggi ci mettiamo sulla bocca la frase “se vengono a casa nostra devono rispettare la nostra cultura”? Noi che non abbiamo avuto alcun rispetto della loro e di loro quando in Eritrea abbiamo usato il gas nervino. A questa osservazione i redivivi fascisti potrebbero rispondere che lo abbiamo fatto in nome della conquista, dell’ampliamento dei nostri domini e che la guerra è guerra. Allora consigliamo loro di rileggersi una poesia di Trilussa  dal titolo “Le formiche e er ragno”, che come molte poesie del poeta romanesco è ancora oggi attuale.

“Un gruppo de Formiche,
doppo tanto lavoro,
doppo tante fatiche,
s’ereno fatte la casetta loro
all’ombra der grispigno e de l’ortiche:
una casetta commoda e sicura
incanalata drent’a una fessura.

Ècchete che un ber giorno
un Ragno de lì intorno,
che viveva in un bucio troppo stretto,
vidde la casa e ce pijò possesso
senza nemmanco chièdeje er permesso.

— Formiche mie, — je disse co’ le bone —
quello che sta qui drento è tutto mio:
fateme largo e subbito! Er padrone
d’ora in avanti nun sarò che io;
però m’accorderò cór vostro Dio
e ve rispetterò la religgione. —

Ma allora una Formica de coraggio
incominciò a strillà: — Che propotenza!
Questo è un vero sopruso! Un brigantaggio!
Perché nun è né giusto né legale… —

Er Ragno disse: — Forse, a l’apparenza:
ma, in fonno, è ‘na conquista coloniale.”

 

Ah, in riferimento ai fatti di Como persino il vecchio Umberto Bossi si è dissociato da quelle persone redarguendo il suo compagno di partito Salvini. Certo che se ci troviamo a dover dar ragione a Bossi, siamo messi davvero male.

 

Simone Salvi