Da Antigone all’angelo con la pala

Chamseddine Margouz è un ex-pescatore che vive a Zarzis, nella Tunisia meridionale a poca distanza dal confine con la Libia, collabora con la Mezzaluna Rossa ed è il custode del cimitero dei migranti senza nome. Un cimitero costruito su un terreno strappato al deserto e ad una discarica, posto a poca distanza da ammassi di rifiuti. Le sepolture sono cumuli di sabbia e quelle più recenti si riconoscono perché ancora prive della sterpaglia che andrà a ricoprirle. Non ci sono lapidi e se anche una semplice lapide vi fosse non sapremmo che nome scriverci. Zarzis si è sviluppata come città durante il periodo coloniale francese in Tunisia. Prima di allora non esisteva una vera città ma solo un agglomerato di quartieri, ognuno dei quali spesso dotato di un cimitero di quartiere controllato dalle famiglie locali. I francesi riunirono i quartieri in una città e costruirono cimiteri per le diverse confessioni religiose che vi si trovano mentre gli altri cimiteri sono rimasti di fatto sotto il controllo delle stesse famiglie. Sulla costa di Zarzis, così come sulle coste di molti paesi lambiti dal Mar Mediterraneo, si infrangono spesso speranze e vite di esseri umani. Da quando è iniziato il fenomeno delle migrazioni dai paesi dell’Africa Centrale e il traffico di esseri umani, sulle coste della cittadina tunisina e nelle acque prospicienti hanno iniziato ad arrivare sempre più corpi senza vita. Da allora, come ancora oggi, sono spesso i pescatori a recuperare quei corpi e tra quei pescatori vi era Chamseddine. Oggi lui non fa più il pescatore ma è volontario della Mezzaluna Rossa, a lui portano i cadaveri di quei nostri fratelli e lui si occupa di dar loro dignitosa sepoltura. Dal 2011, anno in cui si è assistito ad un aumento delle partenze e purtroppo dei naufragi, le famiglie locali hanno iniziato a protestare della presenza di ignoti migranti accanto alle sepolture dei loro cari. La rivolta della popolazione locale ha raggiunto il culmine nel Settembre 2011 quando i corpi di cinquantaquattro siriani vennero lasciati dal mare sulle spiagge della città. Chamseddine aiutato dai suoi amici pescatori e dai membri della Mezzaluna Rossa ha cercato un luogo in cui seppellire quei morti in cerca di speranza che arrivavano sulle coste della città, ma l’unico sito disponibile che ha trovato è quel pezzo di deserto posto a pochi passi da una discarica. La forma di quelle tombe di sabbia cambia a seconda della direzione dei venti che spirano a Zarzis. I venti provenienti dal deserto portano sabbia e innalzano i cumuli. Ma lo spazio per le sepolture si sta esaurendo. Per questo il Comitato Regionale della Mezzaluna Rossa di Medenine ha lanciato una petizione on- line per raccogliere fondi, con l’obiettivo di raggiungere i 30 mila euro necessari all’acquisto di un terreno di 2500 metri quadrati, posto quindici chilometri a sud di Zarzis, da adibire a cimitero e luogo della memoria.

Questo il link per effettuare la donazione: http://www.cofundy.com/index.php?r=projet/detail&id=490

 

Chamseddine porta avanti un precetto forse antico quanto l’uomo e suggellato venticinque secoli fa là dove si dice, a ragione, che sia nata la civiltà, attraverso il mito di Antigone. L’eroina Antigone che seppellisce il cadavere del fratello Polinice, opponendosi all’autorità, il Re di Tebe Creonte, che voleva negargli la sepoltura perché aveva combattuto contro il suo Regno. Per il gesto compiuto, Antigone rappresenta una delle più alte espressioni di quella pietas che sta, o almeno dovrebbe stare, alla base dell’essere cristiani e non solo. Oggi, a Zarzis, Chamseddine da dodici anni perpetua quel gesto assumendo il ruolo di eroe contemporaneo, proprio come per lo stesso gesto è considerata sempiterna eroina Antigone. Ma come scrisse Bertold Brecht, “Beato è il popolo che non ha bisogno di eroi”. Per questo a noi non resta che augurare al nostro eroe a Zarzis di poter tornare a fare il pescatore, o qualsiasi altro lavoro, che non sia quello di strappare terra al deserto per seppellire identità naufragate. Auguriamolo a lui e a tutti noi, perché quando ciò accadrà significherà che il mare avrà smesso di restituirci corpi senza vita. E che le speranze di quei nostri fratelli si saranno concretizzate nel modo più dignitoso.

Al cinema il dovere della sepoltura dei morti è reso poeticamente nel bellissimo film di Kon Ichikawa “L’arpa birmana”, datato 1956. Protagonista del film è Mizushima, un soldato giapponese che dopo aver perso i suoi commilitoni decide, sotto la guida di un monaco buddista, di farsi bonzo per dedicarsi alla sepoltura dei compagni morti. La scena più toccante del film è proprio quella in cui Mizushima, con lo stupendo sfondo musicale del Corale della Passione Secondo Matteo di Bach, rivolge il suo sguardo sconfortato ai compagni morti accanto a lui. Da lì maturerà la sua decisione. Il film fu presentato al Festival del Cinema di Venezia, purtroppo nell’anno in cui Luchino Visconti decise di non assegnare il Leone d’Oro. Peccato. Un film educativo, celebrazione di due valori tanto cari ai curatori di questo blog: l’amicizia e la musica. Un film senza tempo, nel quale Mizushima è Antigone contemporaneo. Proprio come Chamseddine.

 

Simone Salvi

I pescatori tunisini che danno sepoltura ai migranti senza nome